Se Berlusconi parla agli italiani, è bene che non sia sulla giustizia

Dalla Rassegna stampa

È opportuno che Palazzo Chigi abbia corretto l'intenzione manifestata dal presidente del Consiglio a Doha: «Presto parlerò agli italiani, spiegherò la situazione». Non era credibile un intervento solo sul tema della giustizia, tema che mai come oggi ossessiona il premier. Meglio sarebbe se Berlusconi facesse un passo avanti e parlasse del complesso dell'attività di governo. Dire cosa intende fare e come. È evidente quanto sia irritato dopo l'ennesima lite fra Brunetta e Tremonti. Ma forse non è sufficiente cavarsela con il minimalismo. «Sarebbe meglio che la dialettica rimanesse all'interno del governo...»: è una frase tipica dei governi del passato, ai tempi della Prima Repubblica. In genere preludeva a terremoti politici.

Ora non è così. Il premier può permettersi di affermare che «la maggioranza è solida». E in un certo senso ha ragione. Nessuno dei ministri litiganti è portatore di un progetto politico autonomo, tantomeno è titolare di forza propria. Nella coalizione solo la Lega dispone di forza politica e la sa usare. È Bossi, come è noto, il protettore di Tremonti e Berlusconi lo sa. Poi c'è il ruolo politico-istituzionale di Fini e anche di questo il presidente del Consiglio deve tener conto, sia pure a denti stretti.

Per il resto non ci sono problemi politici in senso stretto. Quindi il paradosso è che la maggioranza riesce a essere al tempo stesso «compatta», come dice Berlusconi, e logorata, come rivelano le cronache quotidiane. Anzi, il logoramento, non essendo frutto di lotta politica, porta in superficie idiosincrasie personali e fatti caratteriali; e dà l'impressione di un Consiglio dei ministri in cui manca una leadership sicura.

Ne deriva che Berlusconi fa bene a preparare un discorso agli italiani, a patto che non si limiti all'incubo della giustizia. Ad esempio, il richiamo di Giorgio Napolitano alla necessità di «fare sistema», affinché «intorno alle questioni vitali si realizzi il massimo di unità delle forze politiche e istituzionali», merita di essere accolto in forme non convenzionali. Ed è un punto che riguarda sia la maggioranza sia l'opposizione. Al Senato è in gioco una mozione trasversale che può essere un segnale positivo. Sarebbe interessante se anche il presidente del Consiglio pronunciasse una parola per svelenire il clima.

Ma è difficile che accada. La questione del «processo breve» è destinata a restare al centro della scena nei prossimi giorni. Il governo si sforza di convincere gli italiani che il provvedimento non equivale a un'amnistia di fatto, tale da premiare gli imputati – magari già condannati in primo grado – di gravi reati. Ma gli argomenti usati fin qui non sono risolutivi. E il cammino parlamentare della legge si presenta a dir poco complicato. Al punto che in pochi sono disposti a scommettere che il testo sarà approvato nella forma attuale.

Peraltro c'è sullo sfondo il punto richiamato ieri dal presidente emerito Carlo Azeglio Ciampi, con una franchezza persino inusuale, in un'intervista a «Repubblica»: le leggi devono essere promulgate, in prima lettura, dal presidente della Repubblica e la sua firma è essenziale. Al momento nessuno può sapere come intende regolarsi Napolitano, che della Costituzione si è sempre dimostrato un attento garante. La legge non c'è ancora. Se e quando avrà ottenuto il «sì» del Parlamento, la parola passerà al Quirinale. Ragion di più per sforzarsi di abbassare la tensione, anziché alimentarla.

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