Se Berlusconi imbarca Pannella vuol dire che vuol suicidarsi

Come le avvedute fanciulle che allietavano con la loro presenza la villa di Arcore, il leader dei Radicali, Marco Pannella, per alloggiarsi pro tempore nella magione politica del Cavaliere dice: «Bisogna vedere cosa ci offre». Nessuno scandalo: i radicali, coerenti con le loro battaglie in difesa di ogni libertà, tra cui quelle delle prostitute a rivendicare il diritto di scegliersi quel mestiere, hanno sempre fatto, di ogni passaggio di collocazione, un fatto di contrattazione, meticolosa e puntuale. Naturalmente c’è sempre una ragion politica immanente, un motore primo che detta le loro ondivaghe collocazioni. Nel caso specifico sembra trattarsi di:
a) il timore di vedere l’ascesa di Roberto Formigoni al soglio della successione;
b) la passione liberista che da sempre vantano;
c) la passione liberale che hanno inoculata sin dalla culla e che li fa paladini anche di un equilibrio tra i poteri dello stato e forse anche delle teorie tremontiane riprese dall’ultimo Berlusconi;
d) l’inclinazione al libertinaggio politico testimoniata dalla loro storia, che li rende senz’altro indulgenti col libertinaggio tout court.
Naturalmente c’è tuttavia qualche controindicazione che sarebbe bene il Cavaliere tenesse a mente:
a) l’assoluta incompatibilità tra il Pdl e il laicismo pannelliano, la battaglia per l’eutanasia, il riconoscimento delle coppie di fatto, in specie omosessuali;
b) la turbolenza, per usare un eufemismo, che i radicali sono soliti portare in qualunque partito si accasino, col precipuo scopo di affermare la pro- pria specificità ed i propri interessi politici, intesi come riconoscimenti di primato delle idee, collocazioni che ne sottolineino il prestigio, continue reverenti attenzioni, spazio mediatico per ogni iniziativa (preferibilmente digiunatoria) di protesta, di proposta o di appello all’attenzione del mondo.
Non per spirito di contraddizione con le scelte del premier per il bene del Paese e della coalizione, ma l’idea di un Pannella al dicastero della Giustizia ad un normale cittadino, che fa ormai una fatica immane a seguire il filo e la durata dei suoi sermoni, radiofonici e più raramente televisivi, fa venire i brividi. Una posizione che richiede decisione e mediazione, capacità di sintesi ed idee chiare e comprensibili alle parti interessate e agli elettori, ritmo realizzativo di una eventuale riforma della giustizia veloce, compatibilmente con tutti i confronti e le resistenze, nonché le convergenze, da cercare e verificare appare talmente antitetico alla verbosità pannelliana, stante la sua indubbia capacità di intraprendere battaglie impopolari in attesa che qualcuno le renda concrete con azioni di governo (vedi divorzio e aborto), farne il ministro della Giustizia sembrerebbe ruolo del tutto inadatto al condottiero dei Radicali.
Uomo più del parlare che del fare, ministro che magari proclamerebbe uno sciopero della fame (lo diciamo all’italiana anche se il partito preferisce il termine indiano che fa tanto Gandhi, eroe vittorioso di una grande ed unica battaglia e non di mille proteste più o meno motivate) contro i magistrati, o il parlamento, o i partiti, o la Rai, o Mediaset, o il Vaticano, o l’Onu, o l’Europa, o chi volete voi. Ma se, in realtà, Berlusconi non vuole una riforma della giustizia in questa legislatura, o se vuole andare al voto dicendo che non gli va, o vuole veder perire la sua creatura politica, il suo partito detto di plastica, una sorta di muoia Sansone con tutti i filistei, beh, allora l’alleanza coi radicali va benissimo, Se riuscisse a farne anche una con gli ultimi residui di rifondazione comunista, vittima dell’ennesima scissione, il minestrone dei nuovi sostenitori sarebbe perfetto, vale a dire letale.
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