Scontro tra i democrat così salta la mozione Finocchiaro-Gasparri

Il bilancio di fine serata dà conto di tre mozioni approvate (una firmata Pd-Udc, una della maggioranza, una della Svp), del no dei Radicali a entrambe e, naturalmente, dell’ennesima picconata di Antonio Di Pietro. Ma mentre i senatori del partito di Pannella eletti col Pd denunciano lo spettro delle «larghe intese di bicamerale memoria», l’ex pm di Mani Pulite s’era preparato il terreno in anticipo, convinto com’è di poter lucrare voti financo sull’ombra dell’inciucio.
E così, l’atteso debutto del dibattito sulle riforme, andato in scena ieri al Senato, finisce tra tante infamie e pochissime lodi. E, soprattutto, con una nuova crepa che si è aperta tra i banchi del Partito democratico.
Il film della giornata inizia con gli ambasciatori di Pd e Pdl che mettono a punto una strategia comune. Con un punto d’arrivo: arrivare a presentare un’unica mozione.
Anna Finocchiaro raggiunge l’intesa con l’omologo pidiellino Maurizio Gasparri. Quindi convoca immediatamente un’assemblea del gruppo dei Democratici, per ottenere il via libera sul testo condiviso. In quella sede scoppiano le polemiche.
Un gruppo di senatori pd si oppone alla mozione comune. «Siamo d’accordo con la necessità di riforme e con la pre-condizione che vadano fatte con spirito bipartisan. Ma un testo comune non va bene. Non possiamo annullare di colpo le mille differenze tra noi e loro», dice il veltroniano Giorgio Tonini. Non è il solo ad opporsi. Anche Mauro Agostini, ex tesoriere del partito, mette a verbale il suo dissenso. E così fa anche Guido Calperti, fedelissimo di Letta e, di conseguenza, esponente della mozione Bersani.
La Finocchiaro non ci sta. Insiste sulla necessità di arrivare in Aula con una mozione unica insieme al Pdl. Di più, arriva addirittura a porre la fiducia sul testo. Della serie, “o scegliamo questa via oppure andate avanti senza di me”.
Alla riunione sono presenti una ventina di senatori. «Votiamo», dice Tonini. «Se poi l’assemblea decide per la presentazione della mozione Finocchiaro-Gasparri, io mi adeguo. Però bisogna decidere tutti insieme». Lo scrutinio improvvisato premia «Anna». Ma la trattativa col Pdl salta nel momento in cui la bozza del testo preparata dagli sherpa di ambo le parti arriva nelle stanze dei bottoni. I democrat, infatti, vogliono inserire nella mozione anche la riforma elettorale. I berluscones si oppongono e puntano tutto sulla necessità di allargare la sfera poteri dell’esecutivo senza i balances sul Parlamento.
Il tramonto della mozione comune col Pdl non cancella i sospetti dei senatori veltroniani e franceschiniani che stanno dentro “Area democratica”. Alcuni di loro temono che «i berlusconiani vogliano inserire tra le riforme anche il ripristino dell’immunità parlamentare, con la complicità di alcuni dei nostri». E a poco serve che Bersani spieghi per l’ennesima volta che «il partito è contro le leggi ad personam». Niente da fare. La minoranza mugugna. E Di Pietro insiste: «Il Pd è come Capitan Tentenna».
Più complicato, se possibile, è il cammino dei democrat verso l’appuntamento col No B. day di sabato. Dopo la benedizione veltroniana, infatti, la manifestazione di sabato guadagna un ospite illustre e per certi aspetti inatteso: Dario Franceschini. «Ha fatto bene il Pd a lasciare libera una piazza bella perché spontanea. Ci saranno comunque tanti nostri elettori. E io sarò tra loro», ha scritto l’ex segretario in un messaggio via Twitter. Tra i bersaniani in pochi hanno gradito. Probabilmente neanche il segretario ha apprezzato la mossa dell’avversario che lui stesso ha incoronato capogruppo. Probabilmente.
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