Scontro «gender» tra Marino e Vicariato

Il principe azzurro e Cenerentola, mamma e papà, maschietto e femminuccia. Sono queste, al momento, le parole, cioè i valori, da difendere in un momento in cui a livello nazionale, ma soprattutto negli Enti locali, è partita una campagna «gender» che rischia di confondere invece di chiarire. Ad accendere il confronto sarebbe bastato il caso dei tre libretti diffusi dall’Ufficio Nazionale Antirazziale per conto del dipartimento Pari Opportunità, in cui ai maestri viene sconsigliato il racconto delle fiabe perché tendono a promuovere il solo modello di famiglia tradizionale. E invece ci ha pensato la giunta del sindaco di Roma Ignazio Marino ad aggiungere un po’ di sale nello "scontro" tra il mondo cattolico e, come viene definita dalle pagine di Roma Sette, «la potente minoranza favorevole al "gender"». Una potente minoranza dunque che sta prendendo piede nelle amministrazioni "sinistro centriste", tra le quali quella della Capitale d’Italia.
La giunta Marino ha già dato segnali importanti sul registro delle Unioni civili, la ricerca di un consulente esperto in gay, lesbiche, transessuali, bisessuali e adesso, ha pensato bene di proporre un piano di aggiornamento per le educatrici degli asili nido e delle scuole dell’infanzia per introdurre le «pluralità dei modelli familiari e dei ruoli sessuali». È davvero troppo nella città del papa da una parte, e in una condizione di crisi devastante per le famiglie (e quelle romane sono tra le più tartassate), dall’altra. Così, dopo il chi va là sull’istituzione del Registro delle Unioni civili (il cui esame in Assemblea capitolina per l’approvazione finale è slittato sine die), il Vicariato di Roma torna a bacchettare la giunta Marino. Lo fa tramite il settimanale Roma Sette e le pagine dell’Avvenire. Un richiamo chiaro e forte nel quale non solo si difendono valori ma si lancia l’allarme proprio sulla deriva romana. Il 20 febbraio è infatti partito il piano di aggiornamento per l’anno scolastico 2013-2014 per le educatrici dei Nidi e delle maestre delle scuole dell’infanzia.
Un progetto sviluppato in venti ore che ha per tema «l’identità e la differenza di genere». Una scelta curiosa e pericolosamente ambiziosa soprattutto perché il progetto educativo riguarda bimbi da O a 6 anni e non è previsto alcun parere dei genitori. Un po’ troppo insomma. Così come l’ ”esperimento" in uno dei 15 Municipi della Capitale in cui si è deciso di introdurre nelle scuole la dicitura «genitore 1» e «genitore 2», provocando l’ira dei diretti interessato. Mettendo il piede sull’acceleratore dell’ideologia si rischia insomma di strumentalizzare i bambini in virtù di problematiche, non solo culturali, delle quali se ne dovrebbe prendere carico ben altra classe politica e amministrativa. Il rischio, altrimenti è quello di aumentare pericolosamente la percezione della diversità, al contrario. Decidere, come ha fatto l’ amministrazione Marino, di eliminare le agevolazioni per il terzo figlio, sempre negli asili nido e nelle scuole dell’infanzia capitoline, e contestualmente «rieducare» le maestre per introdurre la «pluralità dei modelli familiari e dei ruoli sessuali» può portare al corto circuito.
Per questo ieri don Filippo Morlacchi, direttore dell’Ufficio per la pastorale scolastica del Vicariato di Roma, nell’editoriale su Roma Sette, il settimanale della diocesi di Roma in edicola con Avvenire, è stato di una chiarezza disarmante: «È triste constatare che la prospettiva del gender, nata qualche decennio fa per valorizzare il "genio femminile", trascuri ora la tutela delle donne e l’effettiva parità dei sessi, e si rivolga piuttosto alla prevenzione dell’omofobia o alla promozione di condotte sessuali alternative. Per quell’ospedale da campo che è la Chiesa bisogna concentrarsi sull’essenziale. Anche la scuola sembra uno sconfinato, desolato ospedale da campo, nel quale non si sa bene dove mettere le mani, tante sono le urgenze... La priorità emergente - prosegue don Morlacchi - il pensiero dominante sembra, già nella prima infanzia, la proposta dell’ideologia gender, ossia la dottrina secondo cui il dato biologico originario del dimorfismo sessuale è marginale rispetto alla costruzione dell’identità di genere». Si vuole così «avviare una vera rivoluzione culturale, di cui la maggioranza delle famiglie italiane, impegnata ad affrontare tanti problemi educativi con i loro figli, non sembra proprio sentire il bisogno. " Educare alla diversità", si dice. Peccato però che almeno una di queste diversità, cioè quella assolutamente originaria, quella che ogni bambino coglie al volo, quella tra maschietti e femminucce, quella tra mamma e papà, in breve la differenza sessuale, venga invece trascurata, fluidificata e perfino contestata come obsoleto stereotipo culturale».
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