Sciascia, il potere e i comunisti Un intellettuale senza «chiesa»

Dalla Rassegna stampa

«Ho scritto questo libro perché avevo delle questioni irrisolte con Leonardo Sciascia, come se avessi avuto bisogno di andare fino in fondo per capire le ragioni del nostro dissenso, che a volte è stato anche molto aspro». Così Emanuele Macaluso, politico e giornalista siciliano, ha spiegato i motivi che lo hanno spinto a scrivere il suo saggio Leonardo Sciascia e i comunisti (Feltrinelli, pagg. 157, euro 14), presentato ieri presso la sede della Fondazione Valenzi - dopo un'introduzione di Lucia Valenzi e di Franco Iacono - da Virman Cusenza, Biagio De Giovanni e Gilberto Marselli, con Luigi Covatta come moderatore.

Frutto di un lungo dialogo e di un serrato confronto dialettico, quello tra Macaluso e Sciascia - che sono stati insieme nel gruppo antifascista di Caltanissetta nel 1941 e nella cellula comunista clandestina di cui lo scrittore siciliano, non ancora iscritto al Pci, faceva parte è anche un rapporto che rimanda a una stagione della politica italiana di cui oggi si sono perse del tutto le tracce, con gli esiti sconfortanti che sono sotto gli occhi di tutti. Una stagione, cioè, in cui la politica si alimentava di un confronto diretto con la cultura e gli intellettuali. Questo uno dei motivi del fascino del libro di Macaluso, come ha sottolineato durante la presentazione il filosofo De Giovanni, per il quale «quell'atmosfera produceva fatti, idee e un intero mondo oggi scomparso».

Politica e cultura, dunque. Un rapporto, nel caso di Sciascia, per nulla pacificato, reso anzi difficile dal suo «radicalismo», come ha ricordato il direttore del «Mattino» nel suo intervento: «Sciascia si opponeva a un potere considerato come "delitto" nelle sue commistioni e nei suoi compromessi, come ci ha raccontato nel suo romanzo Il contesto - ha detto Cusenza - e la sua coerenza intellettuale lo ha portato ad attaccare tutte le chiese, che si trattasse del Pci o della Dc». Per questo il libro di Macaluso appare oggi «necessario e indispensabile», gli ha fatto eco il sociologo Marselli, perché rimette ordine e chiarezza nel delineare le aree di appartenenza culturale e politica di uno scrittore e di un polemista le cui battaglie sono spesso state strumentalizzate e utilizzate da diverse parti politiche.

«L'attualità di Sciascia - ha sottolineato lo stesso Macaluso - è evidente in almeno tre dei temi affrontati nella sua scrittura: la questione della mafia, la giustizia e il rapporto con il potere». Sciascia ha avuto il merito di aver capito per primo «che la mafia non è un'escrescenza, un cancro da amputare con la polizia e le procure, ma è un'espressione della società civile, e dunque solo con un mutamento culturale, sociale e politico la questione può essere risolta». Questo, infatti, il messaggio del suo romanzo Il giorno della civetta, che pure è stato criticato, ricorda Macaluso, perfino da chi la mafia l'ha combattuta. «La questione della giustizia, invece, per Sciascia era basata sul suo fermo rifiuto delle leggi eccezionali, e sulla convinzione che la legge non va mai forzata». Una posizione che lo scrittore non abbandonò mai, anche a costo di durissime critiche, come quando pubblicò sul «Corriere della Sera» il celebre e controverso articolo contro i «professionisti dell'antimafia», per il quale fu attaccato dal Comitato antimafia di Palermo e dalla sinistra.

E proprio sul rapporto tra Sciascia e la politica, Macaluso ha infine indicato il terzo argomento che fa dello scrittore siciliano una voce ancora attuale. Un rapporto sul quale sono state dette tante cose, e che spesso ha acceso aspre polemiche, come quando uscì il romanzo Todo modo o, da fronti diversi, L'affaire Moro. Candidato con il Pci alle elezioni comunali di Palermo nel 1976,e dimessosi nel 1978, Sciascia proseguì la sua esperienza politica quando fu eletto l'anno successivo deputato nazionale ed europeo nelle liste del Partito radicale. Ma in realtà, ha dichiarato Macaluso, il rapporto di Sciascia con la politica era determinato dalla sua «avversione a qualunque strumento o organo che s'identificasse nel potere che schiaccia l'uomo». Per questo «quando l'antimafia rischia di diventare un potere, si rivolta contro l'antimafia», e perfino contro la scienza «quando si pone al servizio dell'atomica», come raccontò nel suo libro su Ettore Majorana.

Per questo Sciascia continua a parlarci ancora oggi, per la sua capacità di smascherare il potere sotto qualunque veste si nasconda. Senza compromessi, e sempre in difesa di una sacrosanta inviolabilità dell'uomo.

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