Le scialuppe di salvataggio

Dalla Rassegna stampa

«Monti è ok, la sua agenda è la nostra»: parola di Renato Brunetta. Chi ieri ha letto questo tweet dell’ex ministro della Funzione pubblica si dev’essere chiesto se l’ha scritto lo stesso Brunetta che soltanto quattro giorni prima rivendicava sul Corriere di aver convinto Silvio Berlusconi a staccare la spina. «Sostenere Monti non è stata solo una cosa assolutamente sbagliata, ma anche spaventosamente negativa per il Pdl e per l’Italia», sentenziava Brunetta ricordando di aver fatto per tredici mesi le pulci al suo governo con «238 slide di PowerPoint senza aver mai ricevuto una sola smentita». Il giorno dell’insediamento del professore a Palazzo Chigi l’aveva addirittura diffidato dal farsi tentare da future candidature politiche.

Perfino lui si è ora convinto. Monti è diventato il salvatore della patria del centrodestra, il possibile «federatore di tutti i moderati», come Brunetta ha spiegato al Secolo XIX. Anche se al posto di «federatore » sarebbe più appropriato un altro termine: scialuppa di salvataggio. Perché l’esplosione del centrodestra, con i sondaggi che da mesi descrivono un Popolo della libertà in picchiata, sommata alla fortissima crescita del Movimento 5 Stelle, rischia serissimamente di far naufragare le certezze di quanti fino a un anno fa davano per scontata la propria riconferma parlamentare. Il solo seggio di Silvio Berlusconi, in quello schieramento, può considerarsi al sicuro: ma per il puro consenso personale di cui ancora gode il Cavaliere.

Ecco dunque che Monti è visto da tanti, suo malgrado, come il possibile traghettatore verso una nuova vita politica. Nel centrodestra, e pure nel centrosinistra. C’è da dire che la scialuppa era già abbastanza affollata. Quando i primi dissidenti hanno cominciato a migrare dal Pdl al gruppo misto della Camera preparandosi a salirci, come l’ex pasionaria berlusconiana Isabella Bertolini ora portavoce di Italia libera, c’erano già casiniani e finiani. Poi, alla spicciolata, sono arrivati altri pezzi del Pdl, compresi nemici giurati di Gianfranco Fini e avversari di Pier Ferdinando Casini.

C’è Italia popolare, che va dal sindaco di Roma Gianni Alemanno al capogruppo alla Camera Fabrizio Cicchitto, passando per Franco Frattini, Maurizio Lupi, Gaetano Quagliariello, Maurizio Sacconi... C’è Gabriele Albertini, che punta a diventare presidente della Regione Lombardia. Ci sono due ormai ex governatori con zero possibilità di riconferma, quali Roberto Formigoni e Renata Polverini. Ma pende dalle labbra di Monti pure qualcuno dei Responsabili: «Se Monti scende in campo cambia tutto», si è augurato il portavoce di Popolo e territorio, Francesco Pionati. Mentre il segretario repubblicano Francesco Nucara si appellava al premier «perché guidi il Paese portando a termine il risanamento». E se il leader dell’Api Francesco Rutelli aveva già annunciato a settembre «porte aperte» al prolungamento dell’esperienza montiana, ha sorpreso tutti nel Partito democratico l’uscita del suo ex collega margheritino Giuseppe Fioroni, per il quale «è indispensabile lavorare alla costituzione di un soggetto moderato-progressista intorno a Monti».

Come faranno tutti questi a stare insieme, ammesso che il premier se la senta di fare il timoniere e accetti di imbarcarli, è un bel mistero. Una scialuppa così piena non rischia di capovolgersi?

 

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