Le scelte del Professore

C’è un’Italia dietro Mario Monti? Questa è in definitiva la domanda cui il Professore dovrà rispondere nelle prossime ore, e non riguarda solo il suo futuro. Silvio Berlusconi, l’uomo che sull’orlo del fallimento nazionale gli girò tutte le cambiali che aveva firmato con l’Europa e che non era in grado di onorare, vuole tornare. Eccita quella parte del Paese convinta che le cambiali si possono non pagare. Sa che è un’idea popolare. A destra, dove Maroni chiede al Pdl di «andare avanti, fino in fondo », anche se non è chiaro dove sia il fondo. Ma anche a sinistra dove, dalla Fiom a Vendola, c’è chi considera l’Europa un club di banchieri da rovesciare a colpi di deficit.
Il guaio maggiore del discorso di Milanello sta proprio nel ridare legittimità a entrambi questi estremismi. Anche se Berlusconi non vincerà le elezioni, ha già cambiato il contenuto delle elezioni. Da domani ciò che conta è di nuovo da che parte si sta, non che cosa si fa; da domani non si fa più di conto con i soldi pubblici, ma si rifà la conta dei voti che possono portare i soldi pubblici. Si gioca a berlusconiani contro antiberlusconiani, per la sesta volta di seguito. L’armistizio è durato 13 mesi. La guerra continua. Il mondo ci guarda incredulo.
Mario Monti ha la possibilità di fermare questo infernale meccanismo? Dopo il gesto con cui ha lasciato, indicando con chiarezza il responsabile, ha davanti a sé tre strade. La prima è ritirarsi, come il de Gaulle isolato dai partiti della Quarta Repubblica, in attesa che una nuova emergenza lo richiami. La seconda è fare da garante di futuri governi di sinistra che abbiano bisogno di farsi garantire, poiché le loro credenziali in Europa e sui mercati non sono sufficienti: Bersani ci spera. La terza strada è scommettere che ci sia davvero un’Italia dietro di lui, un’Italia che considera quest’anno un inizio, non una parentesi, e chiederle di contarsi. Facendo dunque appello al popolo nell’unico modo conosciuto in democrazia: chiedendone il voto. Non in conto terzi.
Dal punto di vista personale, ognuna di queste scelte sarebbe legittima e dignitosa. Ma la terza cambierebbe lo scenario: invece che l’ennesimo referendum su Berlusconi, le elezioni diventerebbero un referendum sull’Europa. Si dice che Monti abbia avuto più applausi all’estero che in patria: ma è ciò che serviva a un Paese con il quarto debito del mondo, che dipende dunque dalla fiducia altrui per respirare oggi e prosperare un domani. Il governo ha certamente commesso errori, ma la direzione di marcia era chiara e lo stile nuovo. L’ultimo provvedimento varato è stato l’incandidabilità dei condannati; l’ultimo provvedimento impedito è stato il taglio delle Province. Può essere che l’Italia di Monti sia minoritaria, ma ovunque, perfino in Grecia, di fronte all’alternativa «o dentro o fuori» gli elettorati hanno scelto l’Europa. E, in ogni caso, di minoranze coraggiose c’è sempre bisogno in un Paese in cui le maggioranze elettorali si sciolgono di solito come neve al sole.
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