La scelta politica che ora va fatta

Si moltiplicano le invocazioni per una nuova politica economica. I sindacati dei lavoratori, la Confindustria e la Confcommercio, più una miriade di altre non meno importanti organizzazioni rappresentative di interessi, la invocano, avanzando richieste specifiche disancorate dal quadro d'insieme. Lavoratori, produttori e commercianti concordano nel chiedere una riduzione delle tasse. I lavoratori dipendenti sollecitano anche una più estesa rete di protezione sociale. Gli industriali chiedono maggiore assistenza, precisando che non la chiedono per loro, ma per gli acquirenti dei loro prodotti. Gli agricoltori affermano che non ce la fanno ad andare avanti con le sole provvidenze europee, peraltro concesse a un numero ristretto di prodotti. mentre le famiglie a basso reddito dichiarano che non riescono ad arrivare a fine mese. Il Nord chiede di dare minori risorse al Sud, il Sud d'averne di più.
Prese singolannente ciascuna di queste richieste ha un qualche fondamento logico ed empirico ma, difettando di una verifica puntuale di come si colloca nel quadro di insieme, perde consistenza, divenendo nella sua inconsistenza un mero balsamo per gli associati o un vero e proprio incitamento alla lotta politica. Salvo non considerare la convivenza sociale una lotta per la ripartizione della torta produttiva e non, come dovrebbe, un patto solidaristico tra persone civili. La nuova politica economica che si invoca continuamente non può essere la ricerca di una soddisfazione di parte, ma la ricerca di come far compiere un passo avanti allo sviluppo dell'intera comunità. Se non si condivide questa impostazione politica, ciascuna sollecitazione di gruppi organizzati resta un atteggiamento irresponsabile e per ciò stesso inaccettabile.
Le dimostrazioni di piazza sotto striscioni fatti di slogan mascherano l'egoismo che le muove e non sono capaci di colmare il vuoto programmatico dal quale promanano. Purtroppo questa caratteristica negativa si va accentuando anche a livello europeo, dove era ragionevole attendersi una più stretta cooperazione tra Stati membri; è invece una caratteristica costante delle relazioni internazionali.
In questo momento il mix di istanze che compongono la politica economica si può sintetizzare nella volontà di contenere il deficit pubblico per non aggravare ulteriormente il debito dello Stato e finire come la Grecia; nel limitarsi a non aumentare la pressione fiscale; nel destinare le poche risorse disponibili per lenire i costi sociali della crisi e nell'attendere chela ripresa della domanda estera trascini le nostre esportazioni. Accompagnano questa politica economica interventi di minore portata quantitativa, ma di non trascurabile rilievo per taluni piccoli gruppi produttivi e per i lavoratori. Non si fa quindi ciò che è necessario (e desiderato), ma ciò che si ritiene si possa fare. Se ci fosse una maggiore convergenza di valutazioni sul da farsi e maggiore consenso politico, invece di tirare alternativamente la giacchetta del Governo per indurlo a fare una cosa piuttosto che un'altra, si potrebbe ottenere un miglior risultato da ciò che si va facendo e forse si potrebbe anche chiedere di più.
Un di più ce lo offre la ripresa della domanda estera e il momentaneo deprezzamento del cambio dell'euro, ma non bastano per accrescere il reddito e creare occupazione: Questo però è il contributo dato dal mercato e non dalla politica economica; affinché quest'ultima possa fare di più dobbiamo liberarci del vincolo del bilancio statale. Se attendiamo che ciò avvenga riducendo la spesa pubblica, come non di rado si sente invocare, dovremmo rinunciare a parte dei benefici già acquisiti, ancor prima di dire no alle richieste che vengono avanzate. Ancor meno si otterrebbe in termini di crescita del reddito e dell`occupazione se si seguisse la via di una maggiore tassazione, come a nostro avviso andrà a finire se l'Unione Europea ci chiederà di rientrare nel parametro di Maastricht del disavanzo pubblico.
Non resta quindi che intraprendere l'unica soluzione in nostre mani: alienare il patrimonio pubblico per cancellare parte del debito statale, riducendo l'incidenza degli interessi sul deficit di bilancio e lasciando ai privati una quota più ampia del risparmio nazionale. Ci sottrarremo così alle decisioni esterne, riprendendo la guida del nostro sviluppo. Per ora nessuna forza politica o sociale ha avanzato questa proposta e le richieste restano quelle sopra ricordate. continuando a porsi in modo incoerente con i dati del sistema economico e i vincoli derivanti dagli accordi internazionali.
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