E Scalfaro «salvò» i magistrati

Dalla Rassegna stampa

Nella storia d'Italia la memoria di Oscar Luigi Scalfaro evoca il "non ci sto". Ma il suo discorso più importante probabilmente c'era già stato: alla Costituente, il 12 novembre 1947, per emendare la proposta di Giovanni Leone di un CSM composto non esclusivamente né prevalentemente da magistrati. Appellandosi alla libertas corporata, antidoto alla libertà dei moderni, Scalfaro fu allora esplicito: "non si avrebbe indipendenza quando il Consiglio superiore potesse avere una maggioranza di non magistrati". Data da allora la rivendicazione della nostra magistratura di farsi Stato da sé, di per sé, guardando a sé. Ed anche questa è storia d'Italia!

Una storia alla quale nel 1987 il cosiddetto "referendum Tortora" ebbe a lanciare il proprio guanto di sfida. In un primo momento, parve, con straordinario successo: oltre 1'80 per cento dei cittadini votò "sì". Ma poi il Parlamento, come ama dire Marco Pannella, rapinò il risultato referendario con la legge 13 aprile 1988 n.17: il principio stesso della responsabilità individuale del magistrato fu travolto e si instaurò quello, opposto, della responsabilità dello Stato.

Ora, giorni fa dalla morte di Scalfaro alla Camera, con almeno una quarantina di voti "democratici", l'anomalia italiana in sede europea ha trovato un punto di correzione: più o meno soddisfacente, ma certo non odioso come hanno affermato i vertici dell'Associazione Nazionale Magistrati ed il loro grigio portavoce onorevole Bersani. La partita, che ha assunto profili di "corpo a corpo" all'interno della attuale maggioranza, sarà incardinata fra qualche settimana in Senato. Non senza estremismi (vuoi di crociata, vuoi di ritirata).

Il referendum del 1987 aveva abrogato gli articoli 55,56 e 74 del codice di procedura civile, che precludevano l'ipotesi per i magistrati di rispondere in sede civile, come invece accade per qualunque alto funzionario dello Stato.

La legge de1 1988, invece, prevederà soltanto la possibilità di chiamare in giudizio lo Stato e chiedere ad esso il risarcimento del danno ingiusto; sicché sarà poi lo Stato a chiamare a sua volta in giudizio il magistrato (e comunque entro i limiti di un terzo di annualità di stipendio).

L'intento di ridurre così al minimo le domande di risarcimento fu conseguito. La irresponsabilità dei magistrati si fece regime. Anche perché nel frattempo, grazie all'operosa collaborazione fra CSM e sindacato, l'istituto della responsabilità disciplinare si fece sempre più opaco.

Adesso l'Europa ci sollecita a cambiar sistema. Dopo il voto della Camera, il Presidente del Senato non si risparmia. Del resto, proprio al Senato nel 2009 vi fu una proposta del senatore Valentino: soltanto affrontando il merito del processo, valutando gli elementi di prove addotti, può apprezzarsi correttezza o scorrettezza dell'attività giurisdizionale.

Ecco un'ottima ragione per chiamare in causa direttamente il magistrato che abbia errato dolosamente o per colpa grave, restituendo ai magistrati seri la dignità di essere responsabili dei propri atti. L'onore della magistratura italiana non può vivere di "non ci sto".

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