Scajola: "Mi dimetto per difendermi. Mi hanno pagato casa? Non lo so"

Dalla Rassegna stampa

«Qualsiasi cosa dico, nessuno ormai mi crede. Difficile reggere con questa pressione mediatica». Le ragioni delle dimissioni, date ieri mattina, Claudio Scajola, le ha spiegate così ai collaboratori. Nemmeno Silvio Berlusconi ne era al corrente. Più tardi, di fronte alle telecamere, l’ex ministro che ha abbandonato il dicastero dello Sviluppo economico, ha fatto ammenda: «Se ho una colpa è quella di essere stato troppo superficiale», aggiungendo di avere difficoltà a ricostruire la vicenda dell’acquisto della casa di fronte al Colosseo, valore 1 milione e 600mila euro.
Pezzi di quella compravendita affiorano solo dalla memoria. Ha raccontato a Bruno Vespa. «Non so se Zampolini ci fosse o meno. Quello che so, lo sto leggendo dai giornali e da quello che ricordo. Sono passati 6 anni dal rogito. C’erano il notaio, le sorelle, altre persone, parlano di un funzionario di banca, può darsi».
Quanto agli 80 assegni circolari, che secondo l’accusa avrebbero costituito la provvista del costruttore Anemone, non spiega granché. «Sarebbe illogico, una cosa assolutamente cretina. Sarà avvenuto prima o dopo il rogito. Certamente non in pubblico, alla presenza mia e del notaio». Ma non esclude che qualcuno possa «avere pagato in parte. Se così è stato, farò di tutto perché si annulli il contratto di compravendita».
In via Veneto, nella sede del ministero, Scajola è arrivato dì prima mattina. Se la notte porta consiglio, quella trascorsa dall’ex ministro, tra gli incubi e i fantasmi, di consigli ne ha portato uno soltanto: dimettersi, una volontà di fare chiarezza. La sera prima, quando è sceso dall’aereo che lo riportava dalla Tunisia a Roma, non ne era per nulla convinto. Anzi, non ha affrontato l’argomento neppure quando i collaboratori gli hanno annunciato le ultime notizie dal fronte della Procura di Perugia. E si è fermato per qualche tempo con gli uomini dello staff per mettere a punto i dettagli dell’agenda dell’indomani. In cima agli impegni, la messa a punto del decreto incentivi per il pacchetto elettrodomestici e moto, che sta andando in Aula, sul quale la maggioranza vuole mettere la fiducia. La svolta è dunque avvenuta nella notte tra lunedì e martedì. Quando, ieri mattina, il ministro è arrivato in via Veneto, ha chiamato nello studio un funzionario. Gli ha annunciato di voler convocare una conferenza stampa.
Il funzionario ha replicato: «Ministro, chi lo sa?». Ovviamente, una domanda retorica: intendeva sapere se Berlusconi fosse stato avvisato. Risposta di Scajola: «Solo io e lei». Quando ha cominciato a parlare, davanti ai giornalisti, aveva la voce incerta, scossa. In primo luogo, ha parlato della necessità di doversi difendere, dopo 10 giorni vissuti «in grande sofferenza», anche «se non sono indagato», per cui «la mia innocenza verrà dimostrata». Ha chiosato: «Una cosa l’ho capita: un ministro non può sospettare di abitare in una casa pagata in parte da altri». Precisando subito dopo: «Se dovessi acclarare che la mia abitazione fosse stata pagata da altri, senza saperne il motivo, il tornaconto e l’interesse, i miei legali eserciterebbero le azioni necessarie per annullare il contratto». Le dimissioni vengono poi accettate da Berlusconi, durante un colloquio, a Palazzo Chigi. E’ stato un «ministro molto capace», l’ha definito così il premier parlando con Joseph Daul, presidente Ppe. Ed in una nota: «ha assunto una decisione sofferta e dolorosa che conferma la sua sensibilità istituzionale».

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