S'avanza il Corriere dei piccoli

E’ quello che si chiama un duro scambio di colpi. Il 4 aprile Tito Boeri su Repubblica scrive un commento al voto del 28 e 29 marzo e si chiede «Come mai il mondo dei piccoli imprenditori, dei lavoratori autonomi e degli artigiani che, secondo le indagini del Corriere della Sera doveva essere sul piede di guerra, ha tributato un plebiscito alla Lega?». Poi articola il suo punto di vista. Ieri dalla prima pagina del Corriere gli risponde l’autore dell’inchiesta su professionisti, piccoli imprenditori, e autonomi, Dario Di Vico. Incipit: «Davvero si può spiegare il successo della Lega come il frutto di uri sapiente incastro di escamotage fiscali e concessioni clientelari, come sostiene appassionatamente l’economista Tito Boeri sulla Repubblica di domenica?».
Per la cronaca, Boeri risponde stamane su Repubblica, quindi non è esclusa una puntata successiva. L’oggetto del contendere è il ruolo e la consistenza delle élite sociali, economiche e politiche in questa fase della nostra vicenda pubblica. Di Vico dice che non sono in grado di mettersi in relazione con la pancia del paese, e considera Boeri e Repubblica parte rilevante di questa élite. Boeri ovviamente non la pensa così. Ma è solo una polemica editoriale questa? In realtà l’aspetto più interessante di questa vicenda è la mutazione del Corriere della Sera. Il giornale si mette a caccia di un nuovo carattere e della sua constituency lettorale. Ci sono almeno due aspetti da notare. Il primo riguarda il rapporto con il concorrente storico Repubblica. Nella polemica sull’élite da cui muove l’articolo di Di Vico si sfonda quasi una barriera del politicamente corretto, non tanto perché parte dal Corriere - esso stesso luogo (azionario) dell’élite - ma perché si sfida quella sorta di primato progressista, dotato di universo valoriale e cattedra intellettuale, che Repubblica esercita. Analogamente, era stato Ferruccio de Bortoli a usare l’espressione cattedra morale, nella cruenta polemica di metà ottobre con Eugenio Scalfari.
Non è titolare dell’unica cattedra morale del Paese», scriveva de Bortoli di Scalfari. E quella polemica aveva segnato la Fine di un codice di rapporti consolidati, in uno scontro con il Fondatore dal fronte progressista.
Il secondo aspetto riguarda un nuovo modo di guardare il nord, e il recupero del rapporto con il suo lettorato, in parte allontanatosi dal Corriere a vantaggio del Giornale e di Libero. Da questo punto di vista sarà interessante analizzare il modo in cui via Solferino giudicherà il riassetto dei rapporti politici intorno alla Lega Nord, la crescita di Giulio Tremonti, i tentativi di dialogo con una parte del Pd. Finora, negli ultimi mesi, c’è stata una maggiore attenzione al radicamento leghista e alla nuova sensibilità territoriale del nord con l’inchiesta sui piccoli e sulle professioni (su cui il quotidiano di via Solferino sfida in un confronto editoriale anche il Sole 24 Ore, il quotidiano della Confindustria, molto attento alle analisi sul capitalismo dei distretti di Marco Fortis).
Il ragionamento del quotidiano diretto da de Bortoli è che se la sinistra considera gli autonomi del nord praticamente degli evasori che stipulano un patto irresponsabile con la politica, il Corriere che guarda ai piccoli, invece, deve essere attento alla soggettività economica, sociale e politica di questo pezzo di società. Deve provare a rinunciare a una trama editoriale identitaria che agisce nel gioco di scontro tra i poteri e provare ad avvicinarsi agli invisibili, alla vita concreta di chi legge un giornale. Per esempio, la pagina del martedì sui Piccoli o una maggiore attenzione all’economia reale: come nel caso della polemica con i petrolieri sull’andamento del prezzo dei carburanti. Ieri è stato lo stesso De Bortoli a intervenire con un editorialino nella pagina delle "Idee & opinioni", molto poco conciliante con il presidente dell’Unione petrolifera Pasquale De Vita.
D’altra parte, il Corriere degli azionisti direttamente in cda della Rcs quotidiani, il giornale della classe dirigente economica e finanziaria, tradizionalmente attento agli interessi della grande impresa così com’è stata per tutto il dopoguerra (e del resto nel capitale in posizioni significative ci sono due storici campioni dell’industria italiana, Fiat e Pirelli), è anche il giornale che con gli articoli di Massimo Mucchetti e con lo stesso de Bortoli ha criticato la Fiat e gli incentivi al settore automobilistico. Trovare un punto d’equilibrio nel rapporto con un azionariato che negli ultimi vent’anni ha rappresentato l’establishment economico in tutte le sue gradazioni, può avere un risvolto in termini di consenso con il popolo del nord, che di quell’establishment è sempre stato diffidente, per i privilegi della grande impresa, e successivamente anche per il bancocentrismo economico che i piccoli imprenditori nordici hanno considerato poco sensibile rispetto alle loro esigenze. Questa è la partita del giornale borghese nell’anno in cui l’economia cerca di uscire dalla crisi.
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