Il sarto, il cardinale, i vecchi leoni dc e il chicco di grano nelle mani dei premier

Dalla Rassegna stampa

 

Sono passate da poco le dieci. La luce del sole riempie le navate della Chiesa Madre del Policlinico Gemelli. Davanti alla bara chiusa in legno chiaro di Francesco Cossiga, si materializza, per un attimo, l'immagine dello Stato italiano. Quasi formassero un unico cerchio ecco il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, i presidenti delle Camere, Renato Schifani e Gianfranco Fini, il sottosegretario Gianni Letta. Non c'è Silvio Berlusconi, ancora in Sardegna. Renderà omaggio all'ex capo dello Stato molte ore dopo, evitando possibili incontri con il cofondatore del Pdl. Un abbraccio ai parenti («Ho perso un amico», dirà il premier), il segno della croce, sempre Gianni Letta al suo fianco. Quindici minuti senza riflettori, poi un gruppetto di cittadini sul sagrato lo chiama. «Presidente! Presidente!» Berlusconi stringe qualche mano, c'è chi lo vede ricevere un chicco di grano: «Lo faccia germogliare nella terra di Cossiga». «Grazie». L'auto blu sgomma nei vialetti blindati dell'ospedale.
L'ultimo atto di Cossiga: è riuscito, nel mezzo di una battaglia violenta e degradata, a mettere insieme i personaggi chiave dell'infinita saga italiana. Si sussurrano parole di circostanza, si fanno raccontare dal figlio Peppino i giorni tristi del «Picconatore» in punto di morte. Al mattino, Fini e Letta sono vicini, i volti distesi, i gesti l'un l'altro amabili, perfino qualche sorriso. Binari diversi, paralleli. Fuori da questo luogo di culto immerso nel silenzio d'agosto gli uomini del premier continuano a chiedere senza pentimenti la testa del presidente della Camera. Ed è un po' surreale vedere quella coppia che si allontana per parlare senza testimoni in un salottino accanto alle navate: Fini e Letta, insieme, per venti minuti. Chissà come avrebbe commentato Cossiga, fornito di grande e spietata ironia, la sua camera ardente così diversa da quelle, solenni e paludate, che si devono a un protagonista della Repubblica. Viavai continuo, disordinato e sovrapposto, di un'umanità composita e, a volte, teoricamente incompatibile: ministri in carica, abbronzati per le vacanze estive. Tremonti e Calderoli, insieme dal Cadore, Maroni e Fitto contriti, Angelino Alfano, generoso con le telecamere, che addirittura dice: «Lui era il mio punto di riferimento». Il presente e il passato, la Prima e la Seconda Repubblica, il governatore della Banca d'Italia, Draghi, e l'ex governatore Fazio, il segretario della Cgil Epifani, l'ex ministro Cirino Pomicino, Vincenzo Scotti, Enzo Carra, Ciarrapico col bastone, Marco Pannella. Si fa strada verso l'altare la figura minuta e curva di Carlo Azeglio Ciampi, accompagnato dalla signora Franca, colpisce il pallore di Giulio Andreotti, fragile, senza cravatta, vegliato da una suorina, abbracciato con trasporto dalla figlia di Cossiga, Anna Maria. Quadri che si compongono e scompongono davanti a quel feretro, circondato da quattro cesti di rose rosse e dal cuscino dell'Arma dei Carabinieri.
Il novantenne Oscar Luigi Scalfaro, ben piantato sulle gambe, parla fitto con Beppe Pisanu, reduce, a sua volta, da un lungo conciliabolo con Paolo Bonaiuti. Dialoghi a bassa voce sulla Repubblica malata, su una spirale sempre più pericolosa, su quello che avrebbe fatto e detto Cossiga. Piero Testoni, il nipote, lo immagina: «Se fosse stato ancora in forma, avrebbe costretto Fini e Berlusconi a pranzare a casa sua». Qua e là, volti del centrosinistra: Vannino Chiti, Marco Minniti. Siede per conto suo Arturo Parisi, che oggi parteciperà ai funerali privati in Sardegna. Riflette sulla natura dei sassaresi: «Siamo destinati a dar battaglia da soli, contro tutti». Quel che sostiene Pisanu, un altro sassarese: «Le picconate di Francesco non sono state capite». E' anche l'amarezza, mista a rancore, di Paolo Naccarato, per anni suo segretario particolare: «Ci metteranno del tempo a capire quanto è stato grande».
Il sindaco di Roma non c'è, è a Cortina. In compenso appare Letizia Moratti, pallida, in bianco e nero. Gli stessi colori scelti da Mara Carfagna, che arriva qualche secondo prima di Berlusconi. La camera ardente di Cossiga rivela la natura dell'uomo, le amicizie senza gerarchia. Sua Eminenza Tarcisio Bertone, segretario di Stato Vaticano, prega per l'«amico del Papa». Monsignor Rino Fisichella, transita, accolto con devozione, qualche ora più tardi. E però, a benedire la bara, oltre a don Claudio Papa, prete di famiglia, spunta il poco noto padre James, sudanese: «Ho conosciuto il presidente tre anni fa, in piazza Montecitorio...».
Ci sono il suo sarto, il suo fotografo, il libraio, gli agenti delle sue scorte, a testa bassa. Si materializzano Renato Fanna, fonte «Betulla» del Sismi, il prefetto Mori e Niccolò Pollari. Porge le condoglianze Roberto D'Agostino che, dal suo sito Dagospia, ha anche lui reso omaggio al «Gattosardo». Una signora di Dorgali, cantante di una corale, conosciuta anni fa in chiesa, si dispiace: «Avrei voluto portargli l'Agapanthus. Era il suo fiore preferito, blu intenso come il cielo di oggi». Il libro delle firme, messo all'ingresso della Chiesa, è un fiume in piena di emozioni. Anche queste sparigliano, come faceva il destinatario. «Ciao, capitano a presto»; «Uno scappellotto al mitico»; «Grazie, presidente picconatore». Una nota cruda: «Ti onoro come nemico. Ma dovevi dire il nome del carabiniere che ti aveva detto che a Bologna c'era stato un incidente di trasporto "palestinese". I magistrati dovevano interrogarti». In pochi si accorgono di un libro aperto sul Vangelo secondo Matteo. 13,47 - 53. In quel tempo Gesù disse alla folla: «Il regno dei cieli è simile anche ad una rete gettata nel mare, che raccoglie ogni genere di pesce. Quando è piena, i pescatori la tirano a riva e poi, sedutisi, raccolgono i pesci buoni nei canestri e buttano via i cattivi».

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