Salvate Radio Radicale

Il problema è che quel benedetto comma di articolo nella finanziaria di Tremonti non c’è. Nessuna voce assicura il rinnovo triennale della convenzione con Radio radicale, 10 milioni di euro lordi l’anno, per il servizio pubblico che svolge, non solo in Parlamento e nelle Commissioni, ma anche, per citare Veltroni, tutti i processi più importanti d’Italia. Un archivio giudiziario che sicuramente via Arenula non possiede digitalizzato in una singola pagina internet. E che magari farebbe comodo a tanti pm per incrociare le notizie di reato che vengono da altri dibattimenti in corso. E quasi sicuramente i magistrati più avveduti utilizzano Radio radicale per tenersi aggiornati su imputati di reato connesso alle proprie inchieste. Quindi, contrariamente all’ultima volta, quando al governo c’era Prodi, il rinnovo stavolta bisogna conquistarselo. Magari con un emendamento bipartisan, parere favorevole del governo e della Commissione, che entro il 21 novembre ripristini la convenzione in questione. Per questo ieri Pannella, dopo avere comprato una mezza pagina sul "Il Foglio per fare conoscere a tutti i sottoscrittori dell’emendamento; che poi sono la totalità meno una di deputati e senatori del Pd e grande parte anche di quelli del Pdl e della Lega Nord, partito dal luglio 1999 tradizionalmente ostile ai Radicali per pura scelta di opportunismo politico (la paura di Bossi della troppa popolarità della Bonino nel Nord e soprattutto nel Veneto dopo l’exploit delle elezioni europee di quell’anno, ndr), è apparso come un "dybbuk" nella conferenza stampa tenutasi alla sala stampa della Camera dei deputati.
Insomma i Radicali hanno aperto una sorta di "guerra preventiva" alla burocrazia e a qualche furbetto che comunque sia da tempo tenta di fare fuori quella convenzione arrivando a parlare di denaro pubblico buttato via. E naturalmente una radio che trasmette tutto o quasi della politica italiana e dintorni (e spesso non è un bel sentire) a qualcuno può anche stare sullo stomaco. E proprio per rispondere a questa obiezione in malafede dello spreco di denaro pubblico ieri nella conferenza stampa in questione sono stati proprio il direttore di Radio radicale Massimo Bordin, e l’attuale responsabile amministrativo Paolo Chiarelli a fare un po’ di conti. E i conti parlano a favore dei servizio pubblico che svolge la Radio: oltre alle registrazioni di 33 anni di eventi della vita italiana, dal 1976 a oggi, c’è l’enorme dotazione di impianti, 225 in tutta Italia, contro i 175 di Radio parlamento (che si giova anche del calderone dei soldi del canone Rai). In pratica i guadagni annui dell’emittente che non fa alcuna forma di pubblicità vanno tutti reinvestiti. Cosa che distanzia la Radio da gran parte degli altri quotidiani politici che ricevono, come la stessa Radio, i soldi dei finanziamento pubblico dagli organi di partito. Ma si tratta di due casse diverse: quella della Convenzione è per un servizio che l’unica volta che è stata fatta una gara i radicali l’hanno vinta a man bassa perché nessuno sinora è stato mai in grado di fare un’offerta simile. Da allora, era la seconda metà degli anni ‘90, Radio radicale svolge in una sorta di monopolio obbligato un servizio che alla stessa maniera e alle stesse condizioni nessuno dimostra di saper svolgere. Allora perché quest’agitarsi prima? Perché la conferenza stampa? Perché l’allarme istituzionale? "Because", comunque siamo nel Bel Paese dove la burocrazia decide più dei governi e dove la mancata presentazione di un articolo o di un comma in finanziaria crea più problemi di una bomba atomica. Inoltre la sorte degli emendamenti, non solo quelli bipartisan, ma persino quelli dì governo, sono sempre soggetti alla lotteria dei franchi tiratori e delle contingenze e degli umori politici del momento. In un Paese in cui "il primo che si alza si veste", è bene alzarsi tutti per tempo.
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