Saluti e baci da Marchionne

Marchionne lo dice e non lo dice, fa capire ma non esplicita. Tuttavia il messaggio finale è inequivocabile: la Fiat ormai è una multinazionale e come tale non può essere solo italiana. Quindi nel futuro prossimo Torino si dovrà rassegnare a perdere quella centralità che per più di un secolo ha avuto nell’industria automobilistica. La città della Mole resterà sì una piazza importante per la Fiat, ma sarà una delle tante. E se la fusione con Chrysler andrà in porto, al novantanove per cento il quartier generale verrà spostato a Detroit. Con buona pace degli amministratori locali, dal sindaco Chiamparino al governatore Cota.
L’amministratore delegato, Sergio Marchionne, ha tenuto ieri un lungo discorso (circa un’ora e mezza) al cospetto dei deputati della commissione Attività produttive della camera, in cui ha lasciato intravedere le strategie future del gruppo torinese. Prima di tutto, ha fatto un’ammissione importante: la testa pensante della Fiat non resterà più dalle parti del Lingotto. O meglio: Torino non sarà l’unico cervello del gruppo. «Se il cuore della Fiat è e resterà in Italia, la nostra testa deve essere in più posti: a Torino per gestire le attività europee, a Detroit per quelle americane, ma anche in Brasile e, in futuro, una in Asia», ha precisato Marchionne. Parole che pesano come macigni, perché quello che l’ad identifica come "cuore" è legato per lo più al passato (la tradizione del marchio) mentre quello che bolla come "testa" (il centro direzionale e operativo) rappresenta il futuro. Non a caso, qualche istante dopo, Marchionne fa capire che il quartier generale prenderà il volo per Detroit, qualora l’operazione Chrysler prosegua senza intoppi. Non lo dice chiaramente («la scelta su dove mantenere la sede legale non è ancora stata presa»), ma basta saper leggere fra le righe del suo discorso. «Stiamo lavorando al risanamento della Chrysler e per un aumento della quota Fiat. Speriamo che Chrysler sia quotata nel prossimo futuro. Quando ci saranno due entità legali quotate in due mercati diversi si porranno problemi di governance. La scelta della sede legale non è stata ancora presa e sarà condizionata da alcuni elementi di fondo. Il primo è il grado di accesso ai mercati finanziari, indispensabile per gestire un business che richiede grandi investimenti e ingenti capitali. Il secondo ha a che fare con un ambiente favorevole allo sviluppo del settore manifatturiero e quindi anche con il progetto Fabbrica Italia».
Marchionne qui riassume diversi passaggi cruciali che ha in mente per i prossimi due-tre anni: prima di tutto, c’è la volontà di salire nel capitale di Chrysler, cosa che sarà possibile solo se gradualmente Fiat restituirà i prestiti alla Casa Bianca; poi c’è l’intenzione di quotarla in borsa, ovviamente non in Italia ma a New York. Una volta quotata, però, si pone il problema di un gruppo unico (Fiat Chrysler) diviso fra Wall Street e piazza Affari. A quel punto bisognerà scegliere: o New York o Milano. E Marchionne ha già fissato i criteri che seguirà per la scelta, che inevitabilmente premiano l’opzione americana. Il primo è la capacità di accedere a grandi capitali. Va da sé che non c’è storia fra Wall Street e piazza Affari, fosse solo per la possibilità di attirare i grandi fondi d’investimento americani, partner ideali per condividere un investimento a medio termine come quello nel settore auto. Il secondo criterio è l’attrattività del sistema economico: anche in questo caso la sfida è impari, visto che l’Italia è famosa per la sua capacità di complicare la vita alle imprese mentre negli Usa ormai governo e sindacati fanno di tutto per attirare capitali stranieri. Due a zero per gli americani, quindi. E Marchionne lo sa bene.
Del resto tutti quelli che conoscono bene il mondo Fiat non hanno dubbi, il futuro americano è ineluttabile. Giuseppe Berta, docente alla Bocconi ed ex responsabile dell’archivio storico Fiat, va dicendo da diversi giorni che il quartier generale sorgerà a Detroit. In questo contesto, «si capisce meglio anche l’operazione sulla produttività voluta da Marchionne in Italia: saranno utilizzati solo gli impianti efficienti, che rispettano standard internazionali. Non si può pensare che ci sia un occhio di riguardo per l’Italia». Lo stesso Luca Montezemolo, ex presidente e membro del cda, ormai definisce la Fiat «un’azienda italiana che diventerà sempre più multinazionale».
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