Sabbie mobili e partiti inconsapevoli

Essere nelle sabbie mobili e non accorgersene: è un po' questa la condizione delle forze politiche tradizionali dopo il voto in Sicilia. Le reazioni sono singolari, soprattutto quelle di chi ritiene di aver vinto. Sono reazioni tipiche di un ceto politico troppo ripiegato su se stesso per riuscire a leggere la realtà.
L'astensione al 53%, evento senza precedenti? Le liste anti-sistema di Grillo primo partito nell'isola in cui quasi non esistevano fino a due mesi fa? Domande irrilevanti a cui dedicare al massimo un commentino di maniera. Pierluigi Bersani, che pure è un realista, esprime tutta la sua gioia per «un risultato storico». Certo, il Pd, alleato con Casini, varca la soglia del Palazzo dei Normanni con il suo candidato Rosario Crocetta destinato a sedersi sulla poltrona di presidente. Ma è evidente che i voti sono troppo scarsi per governare e quindi occorrerà stringere nuovi patti di potere: ad esempio, con l'ex governatore Raffaele Lombardo e il suo partner Micciché. Il che cambia non poco l'equazione del «risultato storico» e rende assai più incerta la scommessa sulla governabilità.
In una Sicilia frammentata fino all'inverosimile, si potrebbe dire balcanizzata, il Pd insieme alla lista apparentata pro-Crocetta raccoglie un risultato inferiore di circa due punti a quello delle precedenti regionali: il 20,1. Il che un poco offusca la portata storica della vittoria, tenendo conto del tasso straordinario di astensione e del contemporaneo crollo delle liste di centro-destra.
Le quali si sono dilaniate pagando anche il prezzo delle convulsioni romane in cui il partito berlusconiano (forse ormai ex berlusconiano) sta sprofondando. E va riconosciuto al segretario Alfano di aver gestito la crisi con dignità, resistendo alle pressioni degli ultimi giorni: fino alla coraggiosa presa di posizione espressa ieri con la conferma del sostegno parlamentare al governo Monti.
Nel centrodestra, tutti lo vedono, c'è un nesso inevitabile fra il risultato siciliano e quello che sta avvenendo a Roma. La disgregazione di un'area politica così rilevante, unita ai furori improvvisi di Berlusconi, rischia di avere un impatto destabilizzante tutt'altro che secondario. Ed è stato abile il presidente del Consiglio a Madrid a ostentare un algido distacco di fronte all'evocazione di un simile pericolo.
Il problema è che il laboratorio della Sicilia offre molte suggestioni, ma poche soluzioni. Disegna uno scenario in cui le forze tradizionali vengono bastonate dagli elettori e di fatto indebolite, quasi delegittimate. Offre al contrario lo spettacolo del "grillismo" marciante, carico di indignazione contro le ruberie e gli scandali, ma anche di rancore verso l'Europa come supposta causa della recessione. E comunque voglioso di ritornare sul continente per cogliere un successo ancora più clamoroso nel voto politico di primavera. Magari misurandosi prima nelle regionali del Lazio e della Lombardia, terreni propizi al messaggio anti-sistema più di quanto sia stata la Sicilia (ed è tutto dire).
È vero, l'isola oggi rappresenta lo specchio delle contraddizioni politiche nazionali. Ma proprio questo dato è inquietante alla luce dell'inerzia di cui danno prova i partiti e i loro leader. Il sistema sembra volersi suicidare, mentre appena fuori della porta si affollano i ribelli in numero sempre maggiore, prodotto dell'infinita serie di errori commessi da chi ha avuto il potere e lo ha mal gestito. Da dove può nascere la riscossa, visto che ci attendono ancora alcuni mesi di agonia prima delle elezioni? Mesi in cui Beppe Grillo e i suoi avranno facile gioco perchè non c'è nulla che chiami il successo come il successo medesimo: quello che gli americani chiamano effetto "band-wagon".
Certo, la rivincita può nascere da un vero rinnovamento dei partiti: negli uomini e nei programmi. Ma è poco credibile, siamo quasi fuori tempo massimo. Può nascere dalla serietà di una campagna elettorale in cui i temi del Governo Monti (la serietà amministrativa, l'equilibrio dei conti pubblici, l'Europa) diventano motivo di coesione e non di polemica. Ed è complicato. Peraltro l'anticipo del voto per ora è un'ipotesi non contemplata, anche perché le forze politiche hanno fallito nella revisione della legge elettorale: obiettivo a cui li ha spronati negli ultimi mesi il presidente della Repubblica con un'insistenza che avrebbe dovuto insegnare qualcosa.
Gli ottimisti pensano che nonostante tutto un punto politico importante sia emerso dal voto siciliano: la buona salute dell'asse Bersani-Casini che sosteneva Crocetta, accompagnato dal collasso delle liste "estremiste". Vendola e Di Pietro non riescono a entrare all'Assemblea di Palermo. E ci si chiede se non sarebbe possibile replicare questa alleanza "centrista" alle prossime politiche. Si può, certo, se Bersani avesse l'interesse e la determinazione a escludere Vendola e i suoi dall'intesa generale con il Pd. Non sembra che sia possibile, almeno nei prossimi tempi. E poi Casini dovrà essere molto persuasivo per ottenere dal Pd non solo belle parole, ma una serie di scelte politiche adeguate. Al momento non c'è da farsi molte illusioni sul fatto che nascerà in tempi brevi un centro-sinistra di tipo europeo. Siamo all'anno zero di una repubblica che ancora deve nascere.
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