Sì Tav, parte l'ultimo treno

Dalla Rassegna stampa

Venti giorni soli, meno di tre settimane, per decidere quale sarà il futuro delle infrastrutture nei prossimi decenni. Non solo per quel che riguarda il Nord-Ovest, ma anche per buona parte dell’Italia. Venti giorni soli e dunque - senza esagerazioni - davvero l’ultima chiamata per la tratta italo-francese di quel Corridoio 5 che da Lisbona dovrebbe collegare Lione a Torino.
Da qui spingersi verso Trieste e poi in prospettiva arrivare fino in Ucraina. Se infatti entro il 31 di questo mese non partiranno i «carotaggi», i primi sondaggi per valutare le caratteristiche del suolo, allora sarà impossibile consegnare le linee guida alle due società che dovranno a loro volta completare il progetto preliminare entro fine giugno. La conseguenza di un nuovo stop? L’Unione europea, che già segnala la Torino-Lione fra i progetti più in ritardo, ritirerà i fondi concessi - fino ad ora poco meno di 700 milioni per la parte internazionale dell’opera - costringendo anche il governo italiano a pagare indennizzi alla stessa Ue ma anche alla Francia. E in buona sostanza i lavori per la linea veloce che dovrebbero partire nel 2013 per concludersi nel 2023 resteranno sulla carta.
Esercizio utile, allora, quello di immaginare l’Europa del 2030 - quella dove vivranno e lavoreranno anche i nostri figli oggi ancora bambini - senza la Torino-Lione. Una catastrofe? Per l’Europa non necessariamente. L’asse Parigi-Strasburgo-Stoccarda- Vienna-Bratislava potrà allungarsi fino a Budapest e da qui verso l’Est. E la stessa Parigi sarà collegata ai porti olandesi e a Lisbona, assicurando così una linea ferroviaria veloce che taglierà orizzontalmente il Continente seguendo in parte il corso di Reno e Danubio.
Più catastrofici, invece, gli effetti per l’Italia. I dati dell’osservatorio confindustriale sulla Tav spiegano ad esempio che grazie alla Torino-Lione il trasporto merci tra Piemonte e Francia potrebbe passare dai 6 milioni di tonnellate l’anno attuali a 40 milioni trasferendo anche circa un milione di Tir su rotaia. Senza quei 257 chilometri della Torino-Lione il Nord-Ovest ferroviario rischierebbe invece di diventare una sorta di buco nero nella mappa infrastrutturale - su cui si disegnerà anche la mappa economica - dell’Europa tra vent’anni. Un buco nero i cui effetti si irradierebbero tutt’attorno. Nel transito dai porti tirrenici verso Est e da quelli adriatici verso Ovest, ad esempio, come proprio su questo giornale ha ricordato ieri Paolo Costa, presidente dell’Autorità portuale di Venezia e in passato ministro dei Lavori pubblici con Prodi. Ma anche nella mancata integrazione con l’asse dell’alta velocità Nord-Sud che collegherà Amsterdam, Parigi e Milano. Fatte le debite proporzioni basta pensare a come sarebbe il nostro presente ferroviario se un secolo e mezzo fa, era il 1857, Cavour avesse deciso di soprassedere sulla pur difficilissima costruzione del traforo ferroviario del Frejus.
Anche per questo appaiono incomprensibili e difficilmente giustificabili i tatticismi dell’ultimo minuto che vedono il nuovo presidente della nuova Comunità montana di Val Susa e Valsangone chiedere tempo per nominare i suoi quattro rappresentanti, senza accettare la proroga di quelli già insediati, in quell’Osservatorio che si riunisce ormai da tre anni e che venerdì scorso era arrivato alla centosedicesima riunione. Una mossa dietro la quale c’è - tanto per cambiare - la diaspora dei sindaci Pd che in barba alle posizioni di Regione e Provincia governate dal loro stesso partito hanno scelto l’alleanza con la forza diffusa, ma localistica, dei No Tav. Con venti giorni soli davanti e anni di trattative alle spalle, con un consenso politico formalizzato nello scorso ottobre da tutte le forze politiche nella firma di un documento comune con Confindustria Piemonte, davvero questa volta non c’è ragione - né del resto possibilità - di aspettare.

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