Sì, il garantismo valga per tutti, proprio per tutti...

Dalla Rassegna stampa

Quando ho presentato il disegno di legge n. 2217 (concessione di amnistia e indulto), ero consapevole di fare una "proposta indecente". Non volevo però farmi anch'io trascinare, per dirla con Benedetto Della Vedova, dalla «folle rincorsa pan-penalistica» innescatasi da qualche legislatura. Anzi, avevo quasi la presunzione di contribuire a disinnescarla. Indulto e amnistia sono misure eccezionali, previste per liberare carceri e tribunali da un sovrappiù (di uomini, carte, processi), che ostacola la giustizia, i suoi tempi, le sue procedure. Saggezza avrebbe voluto che camminassero insieme. Non fu così nel 2006. Parve che quell'indulto senza amnistia servisse a far allora da capro espiatorio di un sistema impazzito. Rispetto a quel provvedimento, anche la mia proposta di amnistia e indulto fra loro contestuali offrirebbe un palliativo soltanto momentaneo. Lo so. Quel palliativo però, non meno dell'indultino del 2007, potrebbe rivelarsi irrinunciabile e giustificherebbe, se non il merito, lo spirito della mia iniziativa. Agli altri amici del Secolo d'Italia debbo la massima sincerità. E ne approfitto. Per me ci sono questioni e occasioni sulle quali Rita Bernardini può essere un punto di riferimento, mentre mai può esserlo Donatella Ferranti. Nulla di personale. Provo a spiegarmi. Perché a pagare le inefficienze del sistema giustizia devono essere i detenuti? Chi ha loro inflitto quella ulteriore ingiusta e disumana pena del sovraffollamento? Con quale diritto altri cittadini, estranei al mondo delle carceri, vanno evocando problemi di sicurezza e di illegalità diffuse senza accorgersi di come una severità senza rispetto per la persona umana si traduca per forza in arbitrio? Cosa significa "tolleranza zero" se non siamo poi in grado nemmeno di giudicare i sospetti e di trattare con civiltà i condannati? Nel dibattito politico la magistratura fattasi "democratica" ha inserito un punto di vista disonorevole. Giustizia e legalità sono diventate armi improprie da brandire contro Brancher, Cosentino, Verdini, etc. A me nell'ultima settimana è parsa, ad esempio, troppo giacobina (o troppo poco girondina) l'interpretazione che dal presidente della Camera è stata data dei propri poteri nei confronti dei propri colleghi deputati. Né mi convince l'idea che in un partito politico ci si confronti fra garantisti, giustizialisti, legalitari. Al "garantista impenitente" di sempre, all'amico (se posso permettermelo) Benedetto Della Vedova, non chiedo di condividere minuto per minuto le stesse sensazioni e le stesse valutazioni. Fra l'altro talvolta le mie e talvolta le sue possono essere sbagliate. Quel che entrambi, per la nostra storia politica e personale dobbiamo al Pdl, è di mirare per il nostro paese a esser più vicini a quei sistemi dove il processo deve iniziare 48 ore dopo l'arresto, mentre da noi si può tenere qualcuno in carcere anche più di due anni senza fargli nemmeno il primo grado. Noti alle cronache di storia patria sono piemme e gip che della custodia cautelare han fatto la loro spada di casta. Della loro idea di giustizia e di legalità ho orrore. Per essere ancora più esplicito, non penso sia stato "uso politico" del garantismo difendere mesi addietro Nicola Cosentino da chi voleva metterlo in galera senza neppure prevederne il processo. Quanto al mio piccolo mondo di senatore leale al proprio presidente di gruppo, non riesco comunque a provare nessun senso di colpa per aver fatto una "proposta indecente".

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