Ru486, il Pdl ci prova persino con i cavilli

Dalla Rassegna stampa

Cominciamo col dire una cosa.  Non esiste nessuno stop alla  commercializzazione, perché la  RU486 in commercio non ci sarà.  Che sia chiaro: l’aborto farmacologico  non ha nulla a che vedere  con il "fai-da-te", come lo chiama  Maurizio Gasparri. Non si va in farmacia,  si inghiotte la pillola e passa  la paura. Sarà un medico, verificata  lo stato di gravidanza e lasciati trascorrere  i sette giorni concessi per  eventuali ripensamenti, a prescrivere  il farmaco e seguirne il decorso.  Vincenzo Spinelli, responsabile  dei Consultori AIED di Roma  è allibito: "Stupisce come un  autorevole organo del Parlamento  travisi il senso delle conclusioni di  un organo tecnico-scientifico come  l’AIFA che si è pronunciato per  l’inserimento della RU486 esclusivamente  nei protocolli ospedalieri,  in rigorosa coerenza con lo spirito  e il dettato della legge 194". "I  criteri che hanno determinato il  voto della Commissione - aggiunge  Spinelli - non hanno alcuna motivazione  scientifica e medica, ma  rispondono solo a una scelta ideologica  e politica". Idea del centrodestra  che ieri mattina, dopo una  seduta notturna, ha  approvato il documento  conclusivo dell’indagine  conoscitiva sulla  RU486. In pratica  "auspica una richiesta  di arbitrato che riapra  la discussione di merito  sul rapporto rischi/benefici e ponga  in essere una nuova  istruttoria e deliberazione  dell’Emea".

L’Emea è l’agenzia  europea per il farmaco: la commissione  Sanità del Senato il suo  intervento lo può solo auspicare,  visto che non ha nessun potere  vincolante nei confronti della massima  autorità comunitaria in materia  di valutazione dei medicinali.  E questo, di tutta l’ingarbugliata vicenda  sull’aborto farmacologico,  che fa più specie: che la maggioranza  di centrodestra si senta autorizzata  a mettere il becco in questioni  su cui non ha nessun potere.  Per farlo, Pdl e Lega si sono appigliati  a un’audizione, quella  dell’avvocato Vincenzo Salvatore,  responsabile dell’ufficio legale  dell’Emea. Salvatore non ha fatto  altro che spiegare una legge che  tutti già conoscevano: la direttiva  comunitaria 83 del 2001, ovvero il  codice comunitario sui medicinali.  La norma prevede che nel caso di  medicinali a fini contraccettivi o  abortivi valgano le "legislazioni nazionali  in questione". Tradotto banalmente,  non si può vendere  l’RU486 in un Paese in cui l’aborto  è vietato. Ma in Italia non solo interrompere  una gravidanza è possibile  dal 1978, ma è la stessa legge  194 a stabilire che è auspicabile la  promozione di "tecniche più moderne,  più rispettose dell’integrità  fisica e psichica della donna".  Tant’è che noi, nella legge che recepisce  la direttiva comunitaria  (Dlgs 219/2006), quella clausola  sui farmaci anticoncezionali e   abortivi non l’abbiamo nemmeno  scritta. Invece per la commissione  Sanità quel mancato parere richiesto  al governo dovrebbe invalidare  tutta la procedura di immissione in  commercio della RU486. Peccato  che nemmeno il presidente della  commissione, il Pdl Tommassini,  abbia potuto citare a suo sostegno  qualche numero di provvedimento.  Dice solo che sono state riscontrate  "irregolarità nella procedura  autorizzativa". Quali, non lo sa  nemmeno il ministro che ora è  chiamato a esprimersi sulla questione.  

Ieri mattina la senatrice radicale  Donatella Poretti ha incontrato  Sacconi nei corridoi del Senato.  Gli ha chiesto in quale legge sta  scritto che il governo deve dare un  parere preventivo all’Aifa. Lui si è  limitato a dire che si tratta della  conclusione a cui è giunta la commissione.  Finora (il parere dell’Aifa  è del 30 luglio scorso) queste "irregolarità"  non erano emerse, probabilmente  perché, dice la Radicale  Poretti "manca il supporto  scientifico". Le fa eco il senatore  Pd Ignazio Marino: "Non capisco  come una Commissione che ha  compiti legislativi abbia deciso di  trasformarsi in uno strumento per  giudicare sperimentazioni cliniche  già effettuate". Forse per capire  tutto, servono le parole di  Francesco Casavola, presidente  del Comitato di bioetica: "Nell’ambito  delle ricadute nell’immaginario  collettivo di ogni prodotto del  progresso scientifico, potrebbe  apparire più invogliante l’assunzione  di una pillola rispetto alla  complessità derivante dalla metodica  dell’aborto chirurgico".    

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