«Roma è Capitale, non ladrona»

Dalla Rassegna stampa

Si comincia la mattina presto, alla breccia di Porta Pia: la strada è chiusa, la gente affacciata alle finestre, i bersaglieri schierati. Quando arriva il cardinale Tarcisio Bertone, un uomo urla «abbasso Pio IX», grido isolato. Renata Polverini prende un caffè col sottosegretario ai Beni culturali Francesco Giro, poi scherza con Nicola Zingaretti perché lei - la presidente - è l'unica senza fascia al collo. Sotto alla statua del bersagliere, c'è anche il segretario italiano dei Radicali Mario Staderini, con alcuni colleghi di partito: la polizia lo identifica, prima ancora che Staderini e gli altri mettano in scena la mini-contestazione a Bertone, agitando un volantino («Vaticano, partitocrazia, serve una nuova Porta Pia», lo slogan) e cercando di regalare al segretario di Stato del Vaticano il libro Al sillabo e di Ernesto Rossi. Gli applausi, calorosi, sono per il presidente Giorgio Napolitano, che poi si sposta al Campidoglio. È il momento più solenne: il capo dello Stato diventa il primo cittadino della «nuova» Roma Capitale, istituzione già attesa dalla sfida sul secondo decreto, che ne stabilirà poteri e funzioni. Passaggio fondamentale anche per rendere operativo il primo passo: statuto, regolamenti, indennità dei consiglieri, numero dei municipi, sono tutte questioni rinviate al completamento della riforma.
L'aula Giulio Cesare è stracolma: nel pubblico, c'è anche l'ex sindaco Walter Veltroni. I cronisti assistono alla seduta del consiglio dalla sala Protomoteca: all'inizio manca l'audio, e i primi discorsi (del consigliere del Pd Francesco Smedile, del presidente dell'Assemblea capitolina e dei vicesindaco Mauro Cutrufo) restano muti. Pomarici cita Giovanni Lanza e autocelebra i lavori dell'aula: «Abbiamo fatto sì che la Giulio Cesare, conservando il cuore storico, si ammantasse di una rinnovata veste». Al Pd, però, la nuova Giulio Cesare non piace: per Massimiliano Valeriani «ha perso di solennità: come ha fatto la Sovrintendenza ad autorizzare quest'opera?». Malumori anche nel centrodestra: pur e il sindaco sarebbe «perplesso». Dopo il volemose bene dei giorni scorsi, non mancano gli accenni polemici. Alemanno dice di «non credere nell'istituzione Provincia», e gli amministratori locali (Cusani per Latina, Meroi per Viterbo, Iannarilli per Frosinone e Melilli per Rieti) gli rispondono: «Non crediamo, come sembra sostenga Alemanno, che le province diventeranno enti dipendenti dalle Regioni». Altra questione, la Lega.
Per Alemanno «non esiste la Roma ladrona che alcuni si ostinano a stigmatizzare: siamo creditori, offrendo un gettito fiscale di 35 miliardi a fronte di trasferimenti statali da i miliardo e 600 milioni. Tra Pdl e Lega c'è un patto che va rispettato». Umberto Marroni (Pd) risponde: «Ricordiamo al sindaco che il suo partito è alleato di governo coi detrattori della capitale». Adesso si passa al secondo decreto: «Lo approveremo entro novembre. La bozza che abbiamo preparato è solo un testo da cui partire, poi bisognerà fare una sintesi». Un messaggio alla Polverini, per niente contenta della prima ipotesi circolata, cioè di una Roma «pigliatutto».

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