Rogozin e gli altri il cerchio magico della "Grande Russia"

Sette alti dirigenti russi nella lista nera americana, 13 in quella europea, con solo tre nomi che coincidono. Sembrano pochi, potrebbero essere - e probabilmente domani saranno - più numerosi, ma sono comunque i pionieri della nuova Guerra fredda, gli uomini e le donne che l’Occidente ritiene responsabili dell’annessione della Crimea. Alcuni sono semplici esecutori, rotelle di un meccanismo politico e propagandistico, altri sono gli artefici della crisi. Come Serghei Glaziev, l’economista consigliere di Putin per l’integrazione con i Paesi ex sovietici che negli ultimi mesi era stato visto spesso a Kiev, a coalizzare il fronte filo-russo e consigliare Viktor Yanukovich.
È uno dei più espliciti sostenitori della teoria del complotto occidentale, convinto che il Maidan è stato «pilotato dalle ambasciate europee su indicazioni degli Usa». Un radicale perfino per i gusti del Cremlino che l’ha zittito bruscamente quando ha minacciato di abbandonare il dollaro, vendere i titoli Usa e non restituire più i prestiti americani alle società russe. Un altro personaggio che non ha mai contribuito molto ad allentare le tensioni è Dmitry Rogozin, potente vicepremier responsabile per l’industria bellica, che quasi invoca le sanzioni, sostenendo che l’industria russa non potrà che beneficiare dal ritiro dei concorrenti stranieri. Figlio d’arte (nonno capo della polizia zarista di Mosca, padre generale dell’Armata Rossa, suocero agente del Kgb che operava contro gli Usa), ha guidato il partito nazionalista Rodina, dopo un furioso scontro per la leadership con Glaziev. Si è distinto per libri come «Tempo di essere russi», «Il nemico del popolo», «Riprendiamoci la Russia», per uno spot elettorale xenofobo che chiamava a «Ripulire Mosca Mi rifiuti» degli immigrati, e per aver già fatto litigare russi e ucraini per un istmo in Crimea. È stato un bellicoso ambasciatore russo alla Nato e la nuova Guerra fredda gli fa pregustare ampie commesse militari.
Molto meno «falco» è Vladislav Surkov, l’ex spin dottor di Putin finito nella lista americana dei sanzionati in quanto responsabile del dossier Ucraina nell’esecutivo. Con la sua fama sulfurea di manipolatore e maestro dell’intrigo, è però considerato anche un moderato per i parametri russi. Alcuni insider di Mosca sostengono che il suo ruolo a Kiev sia stato irrilevante, ma detiene i diritti d’autore su buona parte dell’ideologia putiniana, dalla «democrazia governata» alla «verticale di potere». Raffinato romanziere, è il personaggio più stravagante nella lista dei putiniani non graditi in Occidente, in maggioranza fedeli membri della nomenclatura sovietica e postsovietica.
Come Valentina Matvienko, presidente del Senato (di origine ucraine, come anche Glaziev) che ha avuto l’onore di finire anche nella lista europea per aver chiesto di votare l’intervento militare in Ucraina con il pretesto che in Crimea c’erano già morti russi, circostanza smentita poi perfino da Putin. In entrambe le liste mancano nomi che molti si aspettavano, come Vladimir Zhirinovsky o Igor Sechin, boss della major petrolifera statale Rosneft. Bruxelles ha seguito il criterio formale di colpire, insieme ai dirigenti del «governo» della Crimea e ai militari russi che comandano l’invasione, gli esponenti della Duma più attivi, come Serghei Mironov che ha proposto una legge per far entrare la penisola in Russia senza troppe formalità (gli americani invece hanno punito la coautrice del documento Elena Mizulina, famosa soprattutto come leader della campagna contro i gay), e tutti i membri del Senato che in aula hanno fatto discorsi prointervento, votato all’unanimità.
Il senatore Andrey Klishas, un altro che appare in entrambe le liste, a quanto pare non rischia niente negli Usa, mentre dovrà rinunciare alle sue lussuose residenze svizzere. Rogozin ha scritto su Twitter, del quale è un patito, «Compagno Obama, cosa deve fare uno che non ha beni all’estero?». E qui si tratta di vedere se gli occidentali saranno così perfidi da rendere pubblico l’elenco dei beni congelati dei «patrioti» russi, come avevano fatto per Yanukovich cinque minuti dopo che aveva giurato di non avere conti all’estero. In questo caso il danno d’immagine arrecato dalle sanzioni sarà molto più sensibile di quello economico.
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