La rivoluzione liberale passa per Chianciano

La radicalità è al centro. Non ai margini. Perché la radicalità va dentro le cose. Nel profondo. Non alle estremità. La radicalità è liberale. E i liberali sono al centro, anche in Europa. Liberale e Radicale sono sinonimi. Non sono parole confondibili con le vecchie posizioni ideologiche di destra o di sinistra, massimaliste e clericali, autoritarie e comuniste, dogmatiche e violente, che hanno caratterizzato gran parte della politica novecentesca.
Ripeto: oggi come ieri, i radicali e i liberali non sono riconducibili ai massimalismi o agli estremismi delle diverse provenienze ideologiche. E chi pensa ai Radicali come a una componente estremista, di destra o di altrove, sbaglia di grosso. Eppure, in Italia, si continua a sbagliare. Forse anche per ignoranza. O per malafede. Infatti, qualcuno continua lo stesso ad usare il termine “radicale” collocandolo in un ghetto, in un angolo estremo, in una periferia dell’assetto politico italiano. E’ un errore, in cui non dobbiamo cadere. Bisogna continuare a tenere i ponti abbassati e parlare con tutti, muoverci a tutto campo. Come abbiamo sempre fatto. Come abbiamo saputo fare anche durante l’anno appena trascorso. Bisogna preservare tale peculiarità dei Radicali. Bisogna perseverare nel dialogo e nel contraddittorio con tutte le forze politiche, dei vari schieramenti. Soprattutto con gli elettori. Per attuare la rivoluzione liberale e democratica: per la Riforma americana della giustizia, dell’economia e delle istituzioni. Per il federalismo europeo.
Parliamoci chiaramente: i Radicali sono il centro non moderato della politica italiana. Un centro radicale d’attrazione e di aggregazione. E’ questa l’eresia che provo a rilanciare, per l’ennesima volta, anche grazie all’ospitalità del quotidiano l’Opinione. E lo faccio, con più forza e vigore, in virtù del dibattito che sta animando la fase pre-congressuale di Radicali Italiani. Ora basta con i ghetti, i pregiudizi e le esclusioni. I Radicali sono la “sinistra liberale” e, al medesimo tempo, sono anche gli eredi della “destra storica” di Cavour e Quintino Sella. Perciò non confondeteci con la “sinistra radicale”, che lasciamo volentieri a Nicki Vendola e a tutti i leader massimalisti. Casomai, aggettivate quella “Sinistra” con il suo nome proprio: estremista, comunista o massimalista. Ma, per cortesia, non chiamatela più “Sinistra radicale”.
Radicale è un sostantivo, non un aggettivo. Il pensiero e il metodo liberale, di conseguenza, vivono e connotano pienamente la ricerca nonviolenta dei Radicali. E, insieme, appartengono al futuro. Perché i laici, i liberali e i libertari si muovono da una memoria antica, secolare, ancora viva nel presente, che si proietta verso l’avvenire. In altre parole, la radicalità liberale travalica le etichette e va in profondità. Infatti, essere radicale significa andare alla radice, entrare nel cuore dei problemi, approfondire le questioni. La radicalità, quindi, è l’esatto opposto dell’estremismo. Gli estremisti tendono ad occupare - appunto - le estremità, la superficie, le differenti ali degli ideologismi. I Radicali, invece, vanno in profondità. E sono, prima di tutto, dei liberali. A tal proposito, è forse necessario ricordare che i Radicali di Marco Pannella e di Emma Bonino sono, ad oggi, l’unico movimento liberale, storicamente liberale, (sin dalla nascita, cioè sin nel 1955), che abbia ancora, in Italia, una riconosciuta forza e consistenza politica, unita a una singolare e mobilitante capacità propositiva, programmatica, elettorale. Aperta a tutti.
Il Congresso di Radicali Italiani è ormai alle porte e Chianciano è pronta ad ospitare, dal 12 al 15 novembre prossimi, un momento forse fragile della nostra storia, ma vissuto senza alcuna debolezza. Anzi, se consideriamo l’impostazione politica e organizzativa che sta dando la segretaria Antonella Casu e se teniamo bene in mente la ricchezza del dibattito offerto dal recente Comitato nazionale di ottobre o dall’ultima Direzione o in quella che ci sarà in settimana, oppure se pensiamo al contraddittorio emerso nelle ultimissime riunioni della Giunta esecutiva con le diverse strategie per il futuro e per le imminenti elezioni regionali, sembra proprio che una rinnovata energia creativa e militante stia attraversando i Radicali.
Il dibattito interno, infatti, ha acquisito una inevitabile spinta verso il contraddittorio aperto, sincero, trasparente con l'incontro e lo scontro dialogico di idee, proposte, visioni, alleanze, costruzioni future. Si tratta di un vento liberale, quindi, che soffia ancora più forte dentro le stanze di Torre Argentina e che è spesso caratterizzato da una corposa voglia di cambiamento, di innovazione, di riforma, di alternativa e di governo. Per questa ragione, personalmente, continuo a ritenere che il centro propulsore dei Radicali si ritrovi, ormai, al centro dell’assetto politico italiano, al centro della scena. Perché sono un centro d’attrazione mosso dall’esplicita volontà di alternativa al sistema partitocratico. E stare all’opposizione della non-democrazia italiana non significa stare all’opposizione di questo governo o all’opposizione di chi lo rappresenta. Sarebbe una scelta non radicale. Non è così che possiamo sperare di costruire la liberazione dal sessantennio partitocratico. Questo Pd non è una novità. E ritengo che “il nuovo” Pd non stia nella riproposizione del vecchio Ulivo o nell’evoluzione della sinistra Pci-Pds-Ds-Pd. Anche se con il Pd, in prospettiva del cambiamento, si può e si deve continuare a interagire e interloquire. Ma sinceramente non mi va l’idea di fare la fronda in tasca alla gamba sinistra del Regime partitocratico. Preferisco organizzare l’opposizione per l`alternativa al “monopartitismo imperfetto” e provocare una assunzione di responsabilità che porti i Radicali al Governo del Paese. E sostituire, con un nuovo costume politico, questo sessantennio di Potere illiberale e antidemocratico. A cominciare dalle prossime elezioni Regionali. Politiche?
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