Rivoluzione affamata

Dalla Rassegna stampa

Il governo cubano si è dimostrato incredibilmente forte e resistente nel fronteggiare i suoi nemici. Nello scontro con gli Stati Uniti, Cuba ha beneficiato dell’inevitabile innescarsi della sindrome di Davide contro Golia, guadagnandosi il rispetto di numerosi politici, intellettuali e governi. Ottenendo la considerazione di chi sogna rapporti tra gli Stati improntati alla simmetria, al rispetto del diritto, a una considerazione dei popoli che prescinda dal livello dell’educazione e dalla grandezza degli eserciti. Ciononostante anche le rivoluzioni invecchiano, e così i migliori argomenti, centrati sull’onore e la dignità, vengono a cadere quando viene meno il rispetto dei diritti umani: diritti che costituiscono di fatto l’unico paradigma in grado di attribuire valore e legittimità a uno stato. Dal 2003, durante la cosiddetta "primavera nera" durante la quale Cuba ha incarcerato 73 oppositori il governo ha iniziato a fare acqua: pericolose falle si vanno estendendo nella parte bassa della linea di galleggiamento del regime.
Adesso in difesa di Cuba non si può più invocare la "prepotenza" degli Stati Uniti, o "l’embargo criminale" imposto a un’economia che in realtà non ha alcun bisogno di qualcuno che le metta i bastoni tra le ruote: si distrugge benissimo da sé.
Per questo gli ultimi intellettuali, cineasti e politici rimasti a difendere i fratelli Castro e un regime antiquato come quello della Corea del Nord, devono ora fare i conti con l’incapacità di spiegare la morte di un prigioniero cubano come risultato di uno sciopero della fame. La morte del dissidente Orlando Zapata, deceduto dopo 85 giorni di digiuno lo scorso 23 febbraio, si è convertita in un peso morto, che impedisce a Cuba di difendersi sul piano della morale: un regime che lascia morire i suoi oppositori perde qualunque diritto di reclamare il rispetto per se stesso. Con l’arrivo alla presidenza di Raùl Castro si
attendevano delle aperture, per evitare che le traballanti relazioni con i minuscoli gruppi di oppositori (nessuno dei quali ha comunque la capacità di compromettere la stabilità del regime rivoluzionario) si modificassero drasticamente. Invece una volta che la salute di Fidel è migliorata, Raùl, consapevole di dover continuare a governare all’ombra del fratello, ha abbandonato ogni proposito di cambiamento. La morte di Zapata e lo sciopero della fame fino all’agonia di Guillermo Farinas mostrano l’intolleranza e la durezza di un regime incapace di capire che il capriccio e l’orgoglio non sempre sono i migliori consiglieri. Il regime di Franco è collassato su se stesso, e senza che i suoi sostenitori se ne rendessero conto, perché convinto che la sua forza stesse nella capacità di eliminare gli avversari. Alla rivoluzione cubana può succedere altrettanto. Si può credere che continui ad essere forte e moralmente salda per la sua capacità di disfarsi dei nemici, che non manda davanti al plotone d’esecuzione, ma che lascia morire di fame anche quando l’unica cosa che chiedono è la libertà. Ma di questo passo sempre più vite saranno sacrificate e se Cuba non cambierà, come aveva promesso Raùò, c’è da aspettarsi nel giro di poco tempo la fine della rivoluzione cubana.
Persino Pablo Milanés e Silvio Rodriguez, sinceri sostenitori della rivoluzione, hanno invocato dei cambiamenti. Perché non si può creare un sistema nuovo, che sia basato sul rispetto dei diritti umani, se ci si fonda sulla non considerazione della vita degli oppositori e sul rifiuto della libertà del popolo. La fine è vicina. Quelli che si consegnano alla morte in difesa della vita sono molto, molto forti. E nessuna rivoluzione può eguagliare il loro peso e la loro influenza sulla coscienza della comunità internazionale, che non tollera morti inutili.

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