Il ritorno dei fantasmi

Dalla Rassegna stampa

Dobbiamo saper guardare a fondo nel volto violato del presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, istintivamente offerto da lui stesso allo sguardo del mondo come nell´ostensione istintiva e drammatica di un sacrificio appena consumato – nella rammemorazione involontaria e potente di qualcosa che si avvicina all´icona sepolta di una ritualità primaria, fondativa della sua comunità. Riappaiono di colpo fantasmi lontani, l´ombra del magma infuocato che si è depositato nei sotterranei della storia d´Europa, che brucia ancora il suo passato. L´esperienza della contiguità fra politica e violenza; l´idea della forza risolutrice. Dalle armi della critica alla critica delle armi: quel passaggio micidiale e tante volte attraversato fra i due piani – come se tra loro non ci fosse un abisso – ma che la nascita o la rifondazione delle grandi democrazie di massa nella seconda parte del ventesimo secolo ha bloccato per sempre in Occidente, e che non si deve più riaprire, mai. Il radicamento di massa della dialettica democratica ha sostituito e cancellato per sempre la polarità fra amico e nemico all´interno dello spazio pubblico, riducendo lo scontro fra le parti in contesa per il governo della comunità nei termini di una sua rappresentazione simbolica, per quanto carica di espressività e di potenza, controllata dal principio di maggioranza. Da questo non si deve tornare indietro: mai.
E anche se l´aggressore ha problemi psichiatrici, il suo gesto deve preoccuparci lo stesso, come dimostrano anche le insensate reazioni sui siti web che l´osannano. Riappaiono di colpo le tossine della storia d´Italia, anche di quella più recente. Ma sono veleni con cui abbiamo imparato a lottare, che abbiamo già sconfitto. Fanno ancora paura, ma possediamo, a portata di mano, gli antidoti giusti. Il punto di riferimento è un principio che ha animato e ispirato la nostra costituzione materiale, e che abbiamo dimostrato di saper difendere: quello di un "ordine democratico" come luogo di convivenza delle diversità, come sistema di confronto fra le differenze, come regola della divisione dei poteri, come libertà per ciascuno di organizzare il consenso intorno alle proprie idee, come metodo di risoluzione pacifica dei conflitti sociali, pur nel permanere non risolvibile della contrapposizione degli interessi.
Eppure in questo campo non ci sono mai vittorie definitive, ma vittorie che vanno ogni volta riconquistate, e ogni generazione deve compiere il suo apprendistato, la sua peculiare scoperta della democrazia, della sua insostituibilità, della sua necessità come premessa indispensabile per la crescita e lo sviluppo di ogni individualità, di ogni singolo progetto di vita. Ed è qui – nella formazione dei giovani – che noi siamo più fragili. Tutto l´Occidente è più fragile, certo, ma vi è anche – e dobbiamo saperla fronteggiare – una peculiare inadeguatezza italiana, una specie di sovraesposizione del nostro paese al rischio di una disaffezione giovanile alla democrazia, che ha molte spiegazioni ed espone a molti pericoli. Nei messaggi deliranti che sono comparsi in questi due giorni sui Facebook c´è di sicuro la generica quota di irresponsabili che si trova in ogni corpo sociale, ma credo che non sia difficile cogliere anche un sintomo di questo pericolo.
In questi giorni l´Italia ha bisogno di voci che sappiano parlare all´intero Paese, senza distinzioni. Non voci "terziste", come si usa malamente dire; ma voci che, pur essendo portatrici di una chiara scelta di parte, sappiano rivolgersi all´Italia intera, con una lingua condivisa. Non per annullare le differenze, o fare un solo passo indietro rispetto alle idee sostenute fino a ieri, alle battaglie sinora combattute. Ma per rendere evidente, che, al di là di tutto questo, c´è un tessuto comune, un patrimonio prezioso di unità accumulato nel tempo a prezzo di sacrifici oggi impensabili, una rete di valori – di libertà, di eguaglianza, di solidarietà – che non può essere gettato al vento, e che è la nostra sola speranza di futuro. Per molte ragioni – legate alla nostra storia, non meno che alla nostra identità – credo che sia soprattutto sulle spalle della sinistra – di quel che resta di lei – a gravare questo obbligo, che confesso personalmente di sentire come un autentico dovere etico. Non abbiamo bisogno di intelligenze "al di sopra delle parti", né abbiamo bisogno di edulcorare le nostre asprezze. La democrazia non sa che farsene di queste finzioni e di queste ipocrisie. Abbiamo solo bisogno di maestri di vita morale.

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