Il ritorno auspicato dei "liberali d'Italia"

In un articolo di fondo di qualche giorno fa, il direttore de L'Opinione Arturo Diaconale ha sollecitato Silvio Berlusconi a intraprendere la strada della discontinuità politica abbracciando una linea chiaramente ed esplicitamente liberale. Non si tratterebbe, però, di una mera svolta economica o finanziaria quanto, piuttosto, di una scelta "di natura politica". L'invito che emerge è quello di avviare "il taglio chirurgico dei cancri burocratici-amministrativi".
La lettura dell'articolo di Diaconale mi ha fatto venire in mente un libro e una citazione: "Lo scontro tra idee non è un dramma, quanto piuttosto un'opportunità". È un frase di Alfred North Whitehead, che ben sintetizza l'ultimo libro di Dario Antiseri e Corrado Ocone: "Liberali d'Italia" (Rubbettino, pagg. 71, euro 7,00). Si tratta di un breve pamphlet sul pensiero liberale in Italia, impreziosito da una prefazione di Giulio Giorello e costruito con il metodo del dialogo e del contraddittorio tra i due autori. E così, la prima parte porta avanti le tesi del saggista e pubblicista Corrado Ocone mentre la seconda è una risposta di Antiseri alle riflessioni e alle analisi storiche esposte nella prima parte da Ocone. L'espediente del contraddittorio diventa, in definitiva, un felice e opportuno viatico capace di offrire al lettore una dimostrazione concreta di come i liberali non appartengono a nessuna Chiesa ideologica. Avrei aggiunto al libro, però, un capitolo specifico dedicato ai Radicali. Purtroppo, infatti, quello che il pamphlet non dice è che i Radicali di Marco Pannella e di Emma Bonino hanno imparato più dai fallimenti che dai successi. Come accade quando si ha uno spirito liberale. Anche perché, seguendo il monito che Pier Paolo Pasolini scrisse nel suo testamento politico del 1975, i Radicali sono stati abituati a "dimenticare subito i grandi successi" e a valorizzare gli errori o i fallimenti. Per correggersi e per evitare di commetterli di nuovo. È un approccio liberale che i Radicali non hanno mai dismesso. Questo ulteriore capitolo avrebbe senz'altro aggiunto al lettore un ulteriore elemento di comprensione. Il libro è quasi un bignami, ma elaborato in modo non semplicistico quanto, piuttosto, in maniera da andare in profondità, così da scandagliare i fondali e i fondamenti della storia e del pensiero liberale.
La scelta degli autori, comunque, non è un mero e sterile percorso breve, non è un riassunto, quanto piuttosto una summa che individua i punti salienti della filosofia e dell'azione liberale del Novecento italiano. Si va da Benedetto Croce a Luigi Einaudi, da Gaetano Salvemini a Carlo Rosselli, da Guido Calogero ad Aldo Capitini, da Altiero Spinelli a Ernesto Rossi, da Luigi Sturzo a Giovanni Amendola, da Piero Gobetti a Mario Pannunzio. C'è tutta la cultura liberale che appartiene pienamente e, spesso, direttamente ai Radicali. Infatti, molti di questi nomi sono nomi Radicali. Ma gli autori sembrano dimenticarlo. Eppure lo stesso Pasolini, non a caso, alla fine degli anni cinquanta, arrivò a definire i Radicali come "coscienze serve della norma e del capitale". È forse un'espressione un po' troppo ingenerosa perché esaspera un connotato liberale dei Radicali portando all'eccesso una verità: cioè, che la storia dei Radicali interpreta e recupera sia un nobile filone liberale e liberista sia l'influenza azionista e del socialismo libertario e sia l'insegnamento della destra storica di Cavour e di Silvio Spaventa. Insomma, Ocone e Antiseri dimenticano una parte essenziale della loro stessa indagine storica e filosofica. Peccato. Perché l'idea di questo pamphlet è ottima. Invece, l'idea che gli autori hanno dei Radicali rimane sconosciuta se non, addirittura, distorta o negata.
La discontinuità liberale, invece, di cui il nostro Paese ha estremo bisogno, si può conquistare soltanto attraverso la conoscenza, la ricerca delle verità e la circolazione delle idee.
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