Ritorniamo al Mattarellum

Dalla Rassegna stampa

Se si andasse davvero a votare il dieci di marzo resterebbero, prima dello scioglimento delle camere, una ventina di giorni di lavoro parlamentare. Compresi i lunedì e i venerdì, cancellata la pausa natalizia e riprendendo con massima lena il due di gennaio. Un tempo sufficiente, forse, per approvare un decreto con voto di fiducia. Un tempo eccessivamente breve per approvare una legge elettorale che, allo stato, non dà l’impressione d’aver messo d’accordo i duellanti maggiori.
Non voglio attribuire particolare enfasi all’argomento, convintamente sostenuto dai Radicali, del valore precettivo del principio di stabilità del diritto elettorale stabilito dalla Commissione di Venezia, che ha già provocato, tuttavia, la sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo il 6 novembre scorso contro la Bulgaria, rea di aver cambiato la propria legge elettorale a soli tre mesi dal voto. Tuttavia ragioni di buon senso, prima ancora che di diritto, spingerebbero a considerare piuttosto bizzarro il comportamento di un ceto politico che per cinque anni sonnecchia o finge di indignarsi a fronte di un sistema a parole vituperato da tutti, e poi approva, magari a maggioranza, una riformetta rabberciata (ventesima stesura) dal dottor Stranamore, lo stesso “creativo” che aveva concepito l’oggetto dell’esecrazione, e tutto questo a soli venti giorni dalla chiusura di tutti i giochi.
Francamente mi sembra di scorgere, nel profluvio di indignazioni e di professioni di fede nella possibilità della riforma circolanti in queste ore, una cortina di ipocrisia così spessa da potersi tagliare solo con una robusta accetta. Il problema, in sostanza, sembrerebbe essere quello del cerino alla fine della fiamma: chi si prenderà la colpa del naufragio? Un partito? Una coalizione? Un voto segreto alla camera? Perché sia chiaro, è assai difficile pensare che dopo tutto l’ambaradan degli ultimi mesi, dopo le diciotto esternazioni del capo dello stato, dopo tutte le dichiarazioni dei capi, sottocapi e peones di passaggio, si possa chiudere la partita della riforma soltanto facendo salire l’asticella del premio di governabilità, lasciando intoccato il sistema di selezione della rappresentanza parlamentare. Sarebbe davvero un’insopportabile beffa nei confronti degli elettori l’aver fatto credere che sarebbero tornati a scegliere i parlamentari da eleggere, per poi lasciare tutto così com’è e gabellare come grande riforma solo una revisione delle soglie.
Meglio, a quel punto, ammettere onestamente l’impossibilità di procedere oltre e impegnarsi a costruire regole accessorie necessarie a rendere più accettabile la competizione. Regole come, ad esempio, l’incandidabilità di chi si sia macchiato di reati incompatibili con l’esercizio della rappresentanza in un’assemblea parlamentare, rigore nell’esigere comportamenti morigerati nella campagna elettorale (leggi mano pesante sulla compravendita di voti) prevedendo sanzioni graduate fino alla decadenza dal mandato, trasparenza dei curricula dei candidati, revisione in senso più austero del meccanismo delle incompatibilità, delle ineleggibilità e del conflitto di interessi.
Difficile in venti giorni? Per ognuno degli argomenti evocati esistono proposte di legge di tutti gli schieramenti. Con una intesa tra le forze politiche si potrebbe chiedere un decreto del governo (in queste materie sì, non certamente per la riforma elettorale) e votarlo prima di sciogliere la legislatura.
Certo, sento tutto il disagio di dichiarare io stesso, che ho fatto della questione della riforma elettorale con voto di preferenza, la battaglia principale della mia esperienza a Montecitorio, l’impossibilità di procedere oltre. Ma, allo stato dell’arte le creative manipolazioni di Calderoli, con tutta quella varietà di premi e premietti, la difficile interpretazione del vero orientamento della destra, la diffidenza relativa a meccanismi che non garantirebbero la governabilità del paese (danno gravissimo per l’Italia), mi portano a dire che l’unica vera possibilità di venirne fuori possa essere solo il ritorno al Mattarellum, già sperimentato e condiviso da destra e da sinistra.
Se questo non sarà (e non sembra sia alle viste), meglio un gesto di verità e di onesta assunzione di responsabilità. Forse un gesto così, catartico, sarebbe più apprezzato dalla gente piuttosto che le furbate di queste settimane.

 

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