Rissa al summit in tv sulla sanità Usa

Dalla Rassegna stampa

«John, smettila, la campagna elettorale è finita». «Lo so presidente, è una cosa alla quale penso ogni giorno». L'attesissimo vertice sulla sanità si è risolto, ieri a Washington, in un garbato muro contro muro intervallato da qualche schermaglia polemica: soprattutto quelle tra Barack Obama e il suo avversario nella corsa alla Casa Bianca, John McCain. Che ha incassato la dura replica di Obama dopo averlo accusato di aver deluso gli americani col mancato rispetto delle promesse fatte da candidato.
La maratona «bipartisan» sulla riforma sanitaria che è da un anno all'esame del Congresso - un incontro di 40 leader democratici e repubblicani col presidente che si è svolto per l'intera giornata alla Blair House, un edifico governativo a pochi metri dalla Casa Bianca - si è risolto, come previsto, in un pezzo di teatro politico trasmesso in diretta tv. Un teatro un po' di maniera, almeno fino a quando, a metà pomeriggio, il capo dei deputati repubblicani, John Boehner, ha improvvisamente «rovesciato il tavolo» definendo la riforma sanitaria in discussione «un programma che manda in bancarotta l'America». L`opposizione di Boehner a un compromesso
era nota, ma la sua durezza e gli argomenti usati hanno ugualmente colpito visto, tra
l'altro, che il CBO - l'ufficio di bilancio del Congresso, un organismo tecnico indipendente - ha «certificato» che con la riforma il deficit pubblico calerà, anche se di poco. Ma per il «mastino» Boehner, quello proposto dalla maggioranza democratica è un «esperimento pericoloso». Di più: scavalcando i suoi stessi colleghi di partito che criticano la riforma ma ammettono che il sistema attuale non funziona e va cambiato, il leader repubblicano ha sostenuto che è insensato imporre cambiamenti tanto massicci e costosi a quello che, già oggi, «è il miglior sistema sanitario del mondo».
Obama, che ha condotto il dibattito per tutta la giornata, ha replicato ai rilievi di ogni singolo parlamentare repubblicano cercando sempre di riportare la discussione sui singoli punti della riforma sui quali i due fronti divergono - obbligatorietà delle nuove polizze sanitarie, impatto della sanità sul bilancio pubblico, regole per le compagnie assicurative - per verificare se ci fossero spazi per una qualche intesa. Il presidente ha provato anche dopo l'intervento di Boehner, ma a tutti è stato chiaro a quel punto che gli spazi di negoziato si stavano ormai chiudendo.
«Con la nostra proposta 30 milioni di americani oggi non coperti otterranno il diritto alle cure, con la vostra solo 3», ha obiettato. Nessun repubblicano gli ha risposto. A quel punto, invece, McCain è di nuovo sceso in campo chiedendo ai democratici di non ricorrere alla cosiddetta «reconciliation», una procedura che consente di eliminare le differenze esistenti tra un testo varato dal Senato e uno approvato dalla Camera rivotando tutto a maggioranza semplice. In questo caso, insomma, i repubblicani non potrebbero far valere la loro capacità di porre un veto al Senato, riconquistata un mese fa, quando hanno strappato ai democratici il seggio del Massachusetts.
Obama ha risposto che gli americani, dopo un anno di discussioni, vogliono un voto, ma ha anche ammesso che su una questione di questa rilevanza (la sanità assorbe un sesto del reddito nazionale americano) sarebbe meglio avere un accordo «bipartisan» e votare a maggioranza qualificata. Insomma, ha lasciato ancora uno spiraglio aperto ed è andato ai «tempi supplementari» prolungando la discussione della Blair House oltre i limiti previsti.
Il presidente alla fine ha deciso di dare ancora 4-6 settimane al Congresso per trovare un  compromesso altrimenti i democratici cercheranno di limitare i danni votando alla Camera lo stesso testo già approvato, alla vigilia di Natale, dal Senato.
Le misure che non piacciono ai deputati dissenzienti della maggioranza verrebbero corrette successivamente, con una serie di emendamenti inseriti in provvedimenti di bilancio per i quali è previsto il voto a maggioranza semplice e che, quindi, non rischiano il «fîlibustering» repubblicano. Per la maggioranza un modo di ottenere un successo politico formale, archiviando una questione sulla quale gran parte dell'elettorato ha mostrato un profondo malessere.

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