Il rischio di elezioni inutili

Dalla Rassegna stampa

I partiti che oggi si presentano agli elettori sono gli stessi che non sono riusciti a riformare la legge elettorale, a dimezzare il numero dei parlamentari e ad abolire le province, nonostante avessero scaricato sul governo dei tecnici il lavoro sporco per rimettere i conti in ordine e avrebbero dunque potuto, nel frattempo, ristrutturare e alleggerire i palazzi in cui abitano.

 

In quattro anni il centrodestra non ha mantenuto le promesse elettorali (liberalizzazioni, compressione del carico fiscale, riforme di struttura) e il centrosinistra nell’anno di grazia del salvataggio dei professori non ha portato a casa nemmeno un ritocco alla legge-porcata. Evidentemente il Porcellum non era così tanto sgradito ai partiti. Di sicuro ha continuato a garantire il collocamento dei cooptati, messi in sicurezza spesso a una distanza siderale rispetto ai luoghi di residenza, in cui nessuno li ha mai visti né conosciuti, trattandosi per l’appunto per lo più di gregari, al seguito di capi-corrente.

 

Ed è ovvio che un cooptato-gregario di Torino venga mandato a Firenze o Milano, o che un cooptato-gregario di Belluno vada in Calabria. Perché lì nessuno lo conosce e quindi nessuno si può lamentare. È capitato anche nel Pd, nonostante le primarie, benché in misura ridotta rispetto agli altri partiti.

 

Il collegio uninominale avrebbe invece garantito condizioni uguali e ugualmente rischiose per tutti (leader, peones, gregari) e una maggiore governabilità. I partiti, messi i candidati nel buco nero delle lunghe liste bloccate, sono ora pronti a chiedere il voto «utile», che tuttavia rischia di diventare «inutile», considerando che già si discute di eventuali alleanze post-elettorali, convergenze più o meno parallele, accoppiamenti per disperazione, desistenza e altre alchimie.

 

Questa prima occasione mancata fa il paio con la seconda. Sono stati strozzati sul nascere i tentativi di convertire le contrapposizioni gladiatorie della Seconda Repubblica in un bipolarismo civile, di pari passo con l’esclusione dai due poli delle componenti più moderate e meno ortodosse. Casini e Fini hanno già da tempo abbandonato il vascello berlusconiano. Poi è arrivata la sorda secessione dei «nuovi democratici» renziani.

Diciamo la verità. Bersani è stato abilissimo nel mettere completamente fuori gioco Renzi e i suoi. E la bersanizzazione del renzismo ha fatto venire meno ogni argine sia contro il ritorno di Berlusconi sia verso la mutazione genetica del Professore. Le lodi sperticate di D’Alema a Renzi mettono il sigillo sulla strategia della ditta, creando francamente un po’ di sconcerto in chi aveva sostenuto entusiasticamente il secondo.

 

Di fronte alle due occasioni perse dai partiti, Mario Monti ha colto la sua. Un po’ volpe un po’ leone ha intravisto uno spazio politico da occupare. D’altro canto, da Machiavelli in poi, le virtù dei principi restano aleatorie se non incontrano circostanze propizie e non si uniscono con un po’ di fortuna. Preoccupato che i partiti buttassero a mare le riforme fatte, il professore nel giro di un attimo ha cambiato le scarpette e si è buttato nella mischia. E, detto per inciso, Monti impara in fretta. Dalla grigia conferenza stampa che ha dato un insipido avvio alla scalata politica del prof. alle bordate al Berlusconi-pifferaio con tanto di occhio sgranato, sopracciglio inarcato e lettera-acca superaspirata di «Hhhamelin», di acqua ne è passata sotto i ponti.

Ma anche l’intera galassia che dall’antipolitica di Grillo arriva sino a Ingroia si è avvantaggiata delle occasioni perdute, in particolare la prima, il fallimento delle riforme anticasta. Ingroia non ha esitato un attimo ad acchiapparsi il più votato degli ex grillini e si è costruito uno spazio politico solo di un punto sotto a Sel.

 

Chi perde e chi raccoglie. E qui stanno i rischi di una elezione potenzialmente inconcludente e le congetture che cominciano a diffondersi che la prossima legislatura possa essere breve nonostante l’enorme vantaggio di cui godrà in termini di seggi il Pd e nonostante la compattezza del gruppo parlamentare guadagnata da Bersani. Staremo a vedere. Certo è che tra incertezze, calcoli e pre-tattiche, rimangono sullo sfondo le proposte concrete e alternative dei partiti ai cittadini. Un discorso intenso e appassionato sul rilancio di un Paese stremato. Per poter alzare lo sguardo e non doverlo abbassare giù giù verso i laboratori interrati degli alambicchi politici. A cos’altro serve la politica?

 

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