Rinvincita socialista. Ma l'astensionismo batte ogni record

Resurrezione: ha davvero riagguantato una nuova vita il partito socialista, ormai trattato politicamente come un cadavere. Alle ultime elezioni, quelle europee, aveva racimolato le briciole, il 16,4%, e sfiorato perfino l'umiliazione di essere sorpassato dalla frizzante ondata dei verdi di «Europe ecologie» decisi a fracassare lo stantio dualismo tra Ps e Ump. La sera di quella catastrofe il segretario era lo stesso di ieri: Martin Aubry, perseguitata dall'etichetta di essere demodée. Cambio di scenario ieri, primo turno delle regionali, voto in fondo secondario ma che si è caricato per le paludose fortune del presidente Sarkozy di significati nazionali. Ecco il risultato: socialisti al 29,1%, primo partito di Francia, i loro alleati di «Europe écologie» al 12%, a conferma che i voti delle europeee non erano effimeri, Ump al 27%.
Nonostante i ministri gettati nella mischia e l'effetto simpatia del primo ministro Fillon, è una sconfitta, un voto punizione che prova l'impopolarità dell'attuale potere. La Gauche, alleata, è teoricamente oltre il 50% al secondo turno, e il miraggio della Aubry di conquistare tutte le 26 regioni francesi tra 7 giorni, nel ballottaggio, sembra possibile. Su tutto pesa decisivo e imbarazzante il dato dell'astensionismo: 52%, un record, metà dei francesi sono rimasti a casa.
Significa il fallimento del decentramento alla francese, le regioni restano un oggetto istituzionale non identificato, e una disaffezione non verso «la» politica ma verso «una» politica targata Sarkozy. E' stato soprattutto l'elettorato che aveva gonfiato il suo portafoglio di voti alle presidenziali a rimanere a casa. Una bocciatura, per omissione, dell'iperpresidente. Sarkozy si può dire sia stato il miglior argomento elettorale peri socialisti. Il primo ministro Fillon ha giocato al minimalismo, invocando il ravvedimento degli assenti: «Il tasso di astensione impedisce di trarre lezioni sul piano nazionale ma nulla è ancora deciso, i voti degli assenti non appartengono a nessuno, in questo momento di crisi è irresponsabile fare delle regioni dei centri di contropotere». Pronta la replica della Aubry: «Siamo in testa, è un voto di rifiuto della Francia divisa e indebolita. Adesso abbiamo il dovere di riunire tutta la sinistra, con chiarezza di impegni e rispetto dei nostri alleati».
Adesso per il Ps inizia la difficile settimana della contrattazione con i Verdi e l'altra Gauche, estremista e residuale, per serrare le file e stramazzare un avversario che ha fatto il pieno al primo turno e cui non restano alleati da assommare. Per il presidente è lo scenario peggiore: appare indebolito nel momento di affrontare il titanico cantiere della riforma delle pensioni. E all'interno del partito gli scontenti, ormai immunizzati dal terrore dei fulmini sovrani, mugugnano. La sconfitta, si mormora a voce alta, è tutta sua E' lui che ha voluto lanciare la campagna su temi nazionali, immigrazione, identità nazionale e insicurezza. Gli elettori non l'hanno ascoltato. C'è poi il problema governo: una larga fetta di ministri era impegnata in prima persona, alcuni con compiti impossibili, in regioni saldamente socialiste. Ma altri, come l'ambiziosa Valerie Pecresse, dovevano riconquistare l'Ile de France, la regione della capitale. Anche se ha negato rimpasti, è difficile che si possa procedere come se nulla fosse successo.
La risurrezione socialista, se verrà confermata, costituisce il trampolino per i destini di Martine
Aubry. Assediata dai dubbi sul suo carisma, con un partito rissoso e i rivali interni, l'irriducibile Ségolène Royal soprattutto, la signora delle 35 ore ha dimostrato durante la campagna energia ironia combattività. Ha ridato a un partito che dubitava di se stesso un elemento chiave: l'ambizione. Sarà vecchia politica, la sua, senza lustrini, ma forse è quello di cui oggi i francesi hanno nostalgia.
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