Rinviati a giudizio medici e secondini

Dalla Rassegna stampa

Adesso dal sindaco di Roma Gianni Alemanno alla presidente della regione Lazio Renata Polverini è una gara a congratularsi per l’esito delle indagini giudiziarie su chi ha ucciso Stefano Cucchi. Ma il prevedibile epilogo del caso Cucchi, morto massacrato di botte in carcere il 22 ottobre 2009, con un di più di pessima assistenza sanitaria, lascia insoddisfatti i suoi parenti. O, per usare le parole dell’avvocato dei familiari, Fabio Anselmo, "resta comunque l’amarezza perché si continua a dire che Stefano è morto per una malattia e non per le botte." Il non detto della vicenda, che ieri ha visto un primo punto fermo con il rinvio a giudizio di dodici persone tra medici dell’ospedale Pertini, infermieri e agenti di custodia e con la condanna a due anni di un alto funzionario dell’amministrazione penitenziaria (il direttore dell’ufficio detenuti e del trattamento del provveditorato regionale, Claudio Marchiandi che aveva deciso di patteggiare la pena davanti al Gup Rosalba Liso) è che se salta il teorema della morte per malasanità allora bisogna ricominciare daccapo le indagini. E magari finalmente cercare gli autori del pestaggio includendo pure coloro che lo tennero in camera di sicurezza per una notte quel maledetto 16 ottobre 2009. Ilaria Cucchi, sorella di Stefano, la donna che ha avuto il coraggio (aiutata anche dai deputati radicali come Rita Bernardini e da persone per bene come l’ex verde Luigi Manconi che adesso dirige alcuni siti internet che si occupano del carcerario tra cui "A buon diritto") di andare contro le ironie il ministro Giovanardi, che in Parlamento, rispondendo proprio alle interrogazioni parlamentari della Bernardini, ebbe l’ardire di affermare che Cucchi "era morto per colpa della droga", adesso commenta così: "Ci continuiamo a domandare perché c’è stata data una verità diversa visto che è evidente che noi attraverso i nostri consulenti non abbiamo mai detto assurdità...".
Ma in un paese che ha disegnato con il proibizionismo contro i deboli la propria caricatura dello slogan "law and order", spesso incoraggiando gli elementi più psicolabili tra le forze dell’ordine (che vengono comunque difesi dai sindacati di categoria) a usare la mano pesante con immigrati e drogati, la speranza di Ilaria Cucchi sembra destinata a rimanere tale.

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