Rimpasto, Letta tira il freno «Ora tocca al programma»

Il premier infastidito dal totoministri «L’obiettivo è l’accordo sul patto di coalizione» • Renzi: «Basta chiacchiere da prima Repubblica. Sulla squadra di governo decide Enrico» ANDREA CARUGATI ROMA
Dal Messico Enrico Letta manda un sms molto chiaro ai parlamentari a lui vicini: «Di rimpasto non se ne parla fino a quando il patto del 2014 non sarà scritto e formato». Un colpo deciso al freno, dopo che il toto nomi ormai scatenato rischia di far deragliare il governo in carica. Da Roma, dopo un incontro al Quirinale, anche Matteo Renzi prende le distanze dal tormentone che sta prendendo piede su giornali e tv: «Parlare di rimpasto è roba da prima repubblica, che noia. Vi prego: parliamo di cose concrete», scrive su twitter. E alla riunione serale con i capigruppo Pd aggiunge: «Io non ho chiesto il rimpasto, il Pd non l’ha chiesto, se Enrico ritiene nella sua autonomia di fare piccole modifiche o grandi modifiche, noi siamo a sua disposizione, ma non è oggetto di discussione del Pd». Il ritocco alla squadra di governo, o addirittura il Letta bis, improvvisamente sembrano figli di nessuno. O meglio, della pattuglia montiana di Scelta civica, l’unico partito che abbia chiesto espressamente «un nuovo programma e una nuova squadra». Di fatto, l’accordo sulle cose da fare sembra ancora molto lontano, e così anche i nomi che quel nuovo programma dovrebbero attuare.
È un gioco delle parti molto nebuloso, quello tra Renzi e Letta. Da un lato il neo leader del Pd freme per far cambiare verso anche al governo, e non nasconde tutti i suoi dubbi su una squadra che vorrebbe ampiamente rimaneggiata. Da Saccomanni a Giovannini a Zanonato, da Cancellieri ad Alfano fino a De Girolamo, sono tanti i ministri che stanno subendo l’offensiva del sindaco di Firenze. Dall’altro, lo stesso Renzi non ha nessuna voglia di impelagarsi in discussioni da vecchia politica, e neppure di mettere il timbro sulla richiesta di un rimpasto. E lancia la palla a Letta. Che, prudente com’è, non chiude a nessuna ipotesi, ma certo non freme dalla voglia di un intervento a cuore aperto sul suo governo, dagli esiti imprevedibili. Di qui la brusca frenata di ieri: «Non se ne parla fino alla firma del contratto 2014». Certo, l’appuntamento con la direzione Pd del 16 gennaio è dirimente, ma non è questa la data immaginata dal premier. Che si spinge più in là di altri giorni, vuole prima sbrogliare l’intricata matassa del programma. Che è ancora in alto mare. E non solo su dossier come la legge elettorale e le unioni civili invise ad Alfano. Ma su temi assai più concreti come la spesa pubblica, e i soldi necessari per «vedere risultati concreti su temi come lavoro giovanile, credito alle imprese, defiscalizzazione», spiega un renziano di rango. «Non basta più spargere qualche briciola, bisogna spostare ingenti quantità di denaro. Ed è un grosso problema politico e anche tecnico».
Ci sono da superare infatti molte resistenze, tra gli alleati e anche nella burocrazia. E c’è da convincere Letta, «finora molto, forse troppo prudente sulla gestione della spesa». Tra i renziani il desiderio più corposo sarebbe quello di cambiare il titolare dell’Economia. Ma sono consapevoli che «è molto improbabile». Per questo puntano sui dicasteri del Lavoro e dello Sviluppo. Di nomi nessuno vuol parlare («A noi interessano solo le cose da fare», è il mantra renziano), ma circolano quelli dell’economista Tito Boeri e di Guglielmo Epifani. L’ex segretario della Cgil e del Pd, nelle ultime settimane, è considerato un tassello prezioso dalla nuova segreteria, soprattutto per gestire la delicata partita del jobs act. Ci sono poi altre caselle nel mirino del nuovo Pd: Giustizia, Interni e Agricoltura, dopo il caso che ha coinvolto Nunzia De Girolamo e i precedenti di Alfano e Cancellieri. Partite importanti, ma considerate non decisive. Renzi non ha ancora deciso se mettere in pista anche nomi a lui strettamente legati. Se così fosse, in prima linea ci sarebbero tre fedelissimi come Dario Nardella, Yoram Gutgeld e Simona Bonafè, rimasti fuori dalla squadra della segreteria. Intoccabili, oltre a Saccomanni, sono considerati anche Franceschini, il renziano Delrio (che sarebbe certamente promosso a un ministero più importante), Andrea Orlando, Enzo Moavero (titolare dei delicati dossier Ue) e Quagliariello, che piace poco a Renzi ma molto al Quirinale.
Da palazzo Chigi si cerca di arginare la tempesta di queste ore sul toto nomi per il governo. «Non è un dossier in agenda», ripetono dallo staff. L’obiettivo è quello di chiudere il patto di coalizione entro il 25. A quel punto, se tutti i tasselli andranno a posto, è possibile immaginare un nuovo passaggio parlamentare per la fiducia. E una nuova squadra. «Il 2014 per noi è un anno fondamentale: è il primo anno che non sia apre con l’emergenza finanziaria, è il primo che si apre con le opportunità per la crescita e le riforme», spiega Letta dal Messico. «Sono molto ottimista sul fatto che il nostro Paese, anche grazie al ringiovanimento delle leadership politiche, possa fare le riforme nel 2014», aggiunge il premier parlando agli industriali messicani. Ed elenca le tre riforme fondamentali: superamento del bicameralismo, riforma elettorale e della burocrazia. Titoli su cui tutte le forze di maggioranza, a parole, concordano. Ma l’intesa su come realizzarli non c’è ancora.
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