Il riformismo di Lombardi non è storia del passato

Dalla Rassegna stampa

Per il venticinquesimo anniversario dalla morte di Riccardo Lombardi, non mi accontento di una riflessione storica, tutta orientata al passato.
Riccardo Lombardi ha aperto la sinistra italiana a una cultura di governo, quando le tematiche che la sinistra affrontava erano tematiche difensive; quando si affidava agli anni a venire il cambiamento della società.

Parlò allora della strategia delle riforme, e preparò il terreno di una sinistra di governo.

Lombardi aveva ben chiaro il pericolo delle riforme dimezzate, della strategia di intenzioni e non di fatti, e quindi della necessità del protagonista politico, forte culturalmente; del soggetto collettivo con sufficiente massa di consensi in grado di essere portatore di questa strategia riformatrice; garante della sua attuazione; difensore rispetto ai contraccolpi restauratori. Per questo è stato l’uomo non dell’opposizione, ma dell’alternativa di governo.

Alternativa che non assume i caratteri escatologici della rivoluzione sociale, ma è una politica funzionale al governo della democrazia; non una somma di schieramenti - si ricordi la polemica lombardiana sul 51% - ma un obiettivo politico in grado di dare quei risultati pratici cui è finalizzato.

In realtà Lombardi era assai più pragmatico e concreto di quanto comunemente si pensi. Pragmatico e concreto, non soltanto per la forte capacità di analisi economica; per la piena consapevolezza dell’importanza dei legami internazionali e delle compatibilità nell’economia internazionale che vincolano un Paese come il nostro; ma anche perché capace di cogliere i passaggi di un processo politico, di capire le ritirate necessarie, i necessari momenti di attesa; saper cogliere coraggiosamente i punti di attacco, quando essi si presentano inevitabili e indispensabili. Probabilmente il momento lombardiano si sta gradualmente avvicinando, perché una lunga fase politica tende al tramonto.
Anche per le conseguenze della crisi epocale che stiamo attraversando è in atto una trasformazione della democrazia, cambiamenti del sistema economico e del tessuto sociale che hanno caratteri profondi, e debbono essere affrontati con l’approccio alto delle riforme di struttura.

La ragione fondante, la sostanziale legittimazione della sinistra, consiste nel suo essere forza di trasformazione dell’esistente. Il patrimonio storico, la stessa politica pragmatica della sinistra, si è costruita sull’idea di una visione progressiva del processo storico in rapporto a un fine da raggiungere. La forza della sinistra è in questa speranza collettiva, in questa tensione ideale.

Non bisogna avere timore dei grandi disegni e delle grandi strategie; la politica vive nella concretezza dei fatti di ogni giorno, ma anche nel loro legame con il bisogno dell’uomo di giustificare la sua identità e la sua storia.

Il riformismo delle socialdemocrazie occidentali, ha avuto successo finché ha operato all’interno di una crescita costante e complessiva del sistema economico; finché lo sviluppo delle risorse a disposizione permetteva occupazione elevata e dilatazione della spesa pubblica, senza determinare incremento eccessivo di inflazione e rallentamento del processo di accumulazione. Abbiamo imparato, sulla nostra pelle, che questo non è più possibile.

Il confronto sulla strategia delle riforme deve quindi misurarsi con il cambiamento profondo del quadro di riferimento economico; con la modificazione delle condizioni sociali nei Paesi a economia matura; con la modificazione dei valori di riferimento ai quali ricondurre le priorità e le scelte. Fare riferimento a ideologie del secolo scorso, anche nella loro elaborazione più avanzata e attuale, non è più sufficiente. Contrapporre Stato e mercato; capitale e lavoro, pubblico e privato, liberismo e socialismo, porta a una artificiosa e irreale lettura dei processi di cambiamento in corso. Ma rinunciare a un contesto generale nel quale ricondurre l’azione riformatrice, non è possibile. Da questa presa di coscienza, la necessità di un’impostazione completamente diversa della progettualità politica: attraverso la costruzione di una strategia di riforme, si può, infatti, ridefinire il tessuto di alleanze e di solidarietà che possono portare a nuovi blocchi storici protagonisti. Nasce da qui il significato innovativo che l’approccio strategico alle riforme, viene ad assumere nel confronto tra le forze politiche, i gruppi di interessi, i portatori di valori. Tutto questo va nel senso esattamente opposto alla realtà quotidiana della nostra politica, segnata da frammentazione, provvisorietà, esasperazione, egoismo di parte.

Il riformismo è una cultura; la strategia delle riforme una politica, che ha bisogno di essere misurata nei fatti.
 

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