Le riforme per una nuova stagione

Dalla Rassegna stampa

“L'esigenza principale è evitare la paralisi decisionale, quella assicurata dal consociativismo parlamentare”. Con un articolo di fondo, venerdì 22 aprile, Arturo Diaconale ha aperto su l'Opinione un dibattito sulla Riforma istituzionale. Mi sembra che il direttore abbia toccato il tema su cui si gioca il futuro democratico del Paese. Rilancio anch'io la sfida con la speranza di dare un contributo alla discussione. Perché ritengo che l'argomento sollevato sia divenuto urgente e imprescindibile. Ma è necessario che esploda il dibattito. A mio parere, infatti, lo scenario paventato dall'articolo del direttore mostra chiaramente i rischi prodotti dall'immobilismo o - peggio - dall'impotenza del Potere. Il disegno dettato dalla politica delle emergenze, attraverso cui si arriva anche a giustificare la sospensione delle regole democratiche, appare sempre più probabile perché, nonostante le intenzioni espresse nel corso del tempo, Silvio Berlusconi non ha fatto le riforme promesse. Anzi, come ha scritto Diaconale, l'attuale premier non ha "dato una veste istituzionale stabile e definitiva all'assetto politico". Un assetto, cioè, che andasse nella direzione della Riforma americana o anglosassone delle Istituzioni e, quindi, verso una più compiuta democrazia dell'alternanza, determinata da una legge elettorale uninominale e dal sistema presidenziale o semi-presidenziale. Tutte riforme di cui Berlusconi stesso si era fatto portavoce fin dalla sua discesa in campo nel 1994. Erano i tempi in cui le idee di Antonio Martino e di Marco Pannella apparivano le più ascoltate dall'allora fautore della "rivoluzione liberale". E invece niente. La nostra Repubblica è finita nel "porcellum", nel verticismo, nelle nomine dall'alto, nel potere oligarchico delegato alle gerarchie di partito. Esattamente come accadeva già nel malcostume della Prima Repubblica. È sempre la solita storia. Da sessanta anni, il dibattito è rimasto pressoché lo stesso, i problemi si sono aggravati e le soluzioni liberali e democratiche proposte da Luigi Einaudi e Piero Calamandrei, fin dai tempi dell'Assemblea Costituente, hanno trovato sempre l'ostacolo insormontabile della partitocrazia dominante. E la questione non tramonterà finché i nodi non verranno sciolti. Ma questo potrà accadere soltanto quando si troverà il coraggio riformatore di dare una svolta liberale e democratica alle nostre istituzioni. Tutto il resto è stato e resta frutto del sessantennio partitocratico. Anche Berlusconi si è rivelato, purtroppo, un prodotto della partitocrazia. Su questo punto, i Radicali di Marco Pannella e di Emma Bonino hanno scritto addirittura un libro, "La Peste italiana", dove si documenta e si dimostra la continuità del Regime partitocratico tra la Prima e la Seconda Repubblica. Tanto da non poterne più discernere i confini. Si tratta di un Regime che è trasversale agli schieramenti in campo e che pesa, come una cappa di piombo, sulle sorti dei cittadini. Questa analisi è talmente vera che, per esempio, già a metà degli anni Quaranta, Giuseppe Maranini era in grado di scrivere: "Avremo solo una tirannia sostituita da un'altra tirannia, con apparenti differenze di colorazioni". Ma non basta, sempre Maranini affermava: "Qualunque diritto è un diritto solo in quanto si radica in un sistema di garanzie". Infatti, le garanzie liberali sono rimaste, nel nostro Paese, lettera morta: dilaga ancora il sistema partitocratico, è addirittura cresciuto il ladrocinio del finanziamento pubblico ai partiti e lo si è chiamato "rimborso elettorale", resiste la selezione alla rovescia della classe politica.

Insomma, malgrado lo sforzo di alcuni liberali, fin dai tempi della Costituente, si è scelto un sistema clientelare e anti-democratico piuttosto che la Riforma liberale dell'economia, della giustizia e delle istituzioni. Per questa ragione, la democrazia dell'alternanza necessita, oggi come ieri, di una Riforma elettorale in senso uninominale e maggioritario. Del resto, ancora oggi, come si può facilmente comprendere, siamo in pieno regime proporzionale. Gli eletti non hanno contatto diretto con gli elettori, non ci sono i collegi piccoli in cui coltivare il proprio elettorato, non ci sono candidati espressi dal territorio, i governi non sono stabili, le maggioranze si disfano in Parlamento. Le spinte conservatrici e reazionarie vincono grazie al predominio delle segreterie di partito. È una vera e propria resa alle logiche autoritarie e illiberali. Come si può fare per invertire questa tendenza suicida? Innanzitutto, si può ripartire riformando le organizzazioni politiche in senso democratico e liberale, riscoprendo il "metodo liberale", che è il presupposto per garantire il rispetto delle regole e per recuperare, in Italia come in Europa, una discussione politica che sia costruttiva, conosciuta, diffusa tra le persone, fatta circolare nelle case, nelle strade, negli uffici. Una discussione che si faccia forza del "metodo liberale", della conoscenza delle proposte in campo, delle idee riformatrici. Una discussione che non sia asservita alle logiche del Potere fine a se stesso. Qualsiasi sia la forma assunta dal Potere, nelle sue terribili metamorfosi e nel vecchio mantenimento dello status quo. Insomma, come ripetono spesso i Radicali, da sessanta anni, ormai, stagione dopo stagione, governo dopo governo, la nostra Repubblica ha subito e continua a subire i danni prodotti dal blocco unico del Potere illiberale e anti-democratico che domina fuori e dentro il Palazzo. Servirebbe un "altro" terreno. C'è l'urgenza di costruire un terreno "altro" rispetto a quello del consociativismo, del conservatorismo e del conformismo. Lo stesso Luigi Einaudi, fin dal 1944, pur riconoscendo l'importante e necessario ruolo svolto dai partiti, si preoccupò di rendere chiaro il suo disappunto e tutta la sua contrarietà a un qualsivoglia governo che fosse "l'emanazione delle parti politiche singole o associate" perché questo meccanismo avrebbe prodotto la tirannia dei partiti. Perché le macchine dei partiti sarebbero divenute semplicemente raccoglitori di voti senza nemmeno rappresentare le istanze e gli interessi dei cittadini. Infine, nel 1945, il futuro Presidente della Repubblica si espresse inequivocabilmente contro il sistema elettorale proporzionale a causa dell'enorme potere che questo avrebbe consegnato nella mani delle segreterie di partito: sia nella scelta delle candidature che nella formazione dei governi. Lo stesso Maranini, in quegli anni, rincarò la dose: "Se si concede che il potere effettivo passi dalle mani dello Stato e dei suoi organi, espressione dell'universalità dei cittadini, nelle mani dei partiti, si apre la strada al sistema del partito unico e pertanto del totalitarismo". Arrivati a questo punto e con queste premesse, appare chiaro come il dibattito aperto da Arturo Diaconale sulla Riforma istituzionale diventi la cartina di tornasole per capire se, davanti al bivio che ci si pone davanti, si voglia intraprendere la strada di una democrazia liberale o quella del disfacimento finale.

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