Riforme, che confusione sotto il cielo del Pd

«Mai le forze politiche pur così divise sono state tanto vicine a un´intesa sul merito delle riforme»: lo dice Enrico Letta, il vicesegretario del Pd. Un´affermazione impegnativa. Noi per la verità fino ad oggi, da osservatori della vita politica, avevamo avuto tutt´altra impressione.
Ma noi, appunto, siamo solo osservatori della vita politica. Enrico Letta invece è uno dei suoi protagonisti. Forse sa cose che noi non sappiamo. O, forse, valuta in modo diverso dal nostro le cose che noi e lui conosciamo.
Proviamo allora a metterle in fila, le cose che noi, osservatori della vita politica, abbiamo avuto e abbiamo modo di registrare quotidianamente. C´è un presidente del Consiglio inseguito, o perseguitato secondo alcuni, da una serie di procedimenti giudiziari, costretto con l´aiuto dei suoi avvocati/deputati a inventare e proporre sempre nuovi sistemi per difendersi dalla giustizia. Ma secondo Letta - l´ha detto ieri in un´intervista al Corriere della Sera - è legittimo che egli si difenda non solo nel processo, come sarebbe normale, ma anche dal processo: teorizzando così che il premier è più uguale degli altri davanti alla legge.
C´è un Parlamento che non è in grado di discutere, finora, non le riforme importanti di cui il paese avrebbe bisogno, ma nemmeno i normali provvedimenti di un governo che, per i problemi della sua stessa maggioranza, è obbligato a moltiplicare il ricorso ai voti di fiducia. C´è una crisi economica che colpisce duro la nostra grande industria e le nostre piccole imprese, e rende sempre più difficile la vita delle famiglie, una crisi alla quale finora non sono state opposte misure adeguate. Semplicemente si aspetta che dalla crisi si esca, prima o poi. C´è un Mezzogiorno che va alla malora, ormai preda, come purtroppo ci dice la cronaca quotidiana e come denunciava recentemente il governatore Draghi, della malavita organizzata.
Forse Enrico Letta giudica tutti questi fatti messi in fila come irrilevanti o secondari, non meritevoli di attenzione o di riforme. E dunque, il paese non ha bisogno di una riforma della sanità o della scuola, di una riforma degli ammortizzatori sociali o del nostro iniquo sistema fiscale. No, ha bisogno invece, sembra di capire, di una "vera" riforma della giustizia che oggi si concretizza in quel "processo breve" che potrà mettere finalmente Berlusconi al riparo dalle persecuzioni dei giudici "servi della sinistra". Per questo, le forze politiche sarebbero "molto vicine a un accordo".
Noi, lo confessiamo, non lo avevamo capito. Ma ieri il vicesegretario del Pd ce lo ha in qualche modo annunciato. Un paio di giorni fa Bersani, dichiarandosi in linea di principio disponibile a discutere della riforma complessiva della giustizia, aveva tuttavia chiesto, come contropartita, il ritiro del cosiddetto processo breve. Ora, anche questa condizione pare sia venuta meno, stando almeno alle parole di Nicola Latorre, vicepresidente dei senatori del Pd.
Lo stesso vicesegretario del Pd ci avverte che non esistono "scorciatoie" per liberarsi di Berlusconi. Lo sappiamo. Come in ogni democrazia, i governi cadono quando perdono il consenso della maggioranza. Ma per incidere sulla maggioranza che ancora, sia pure con qualche crepa e incertezza, sostiene Berlusconi, sarebbe necessario avanzare proposte convincenti, popolari, concrete, capaci di incidere su quel consenso. Non mi sembra che finora il Pd si sia mosso in questa direzione, l´unica che potrà riportarlo, nei tempi che saranno necessari, e con le opportune alleanze, al governo del paese. Tutti conosciamo le insufficienze, i limiti, le inspiegabili lentezze del funzionamento della giustizia. La riforma della giustizia è certamente una necessità, ma non il problema che angustia la maggioranza degli italiani.
Sul piano della definizione degli obiettivi e delle forme di una denuncia e di una battaglia per la riconquista del consenso popolare, c´è un inspiegabile drammatico ritardo del maggiore partito di opposizione. Anche dopo la vicenda delle primarie e la elezione del nuovo segretario. Pier Luigi Bersani, a qualche settimana soltanto dalla sua elezione, sembra esitante, incerto, quasi impacciato. Contrariamente a come lo abbiamo conosciuto quando esercitava funzioni di governo.
Basta vedere cosa come si è mosso il leader del Pd a proposito della manifestazione che, convocata da vari gruppi di giovani che operano soprattutto sul web, si preannuncia per sabato prossimo. Nel giro di un paio di settimane, il Pd, nella persona del suo segretario, ha prima criticato coloro che si proponevano di partecipare a quella manifestazione, poi, un paio di giorni fa, è passato da una posizione di condanna ad una posizione di paterna comprensione (o autorizzazione). Ma l´intervista di ieri del suo vicesegretario, avrà come sicura conseguenza quella di allargare la partecipazione e il consenso alla manifestazione di sabato. (Nella speranza, mia e di altri, che la stessa intervista non contribuisca a dare spazio e visibilità alle posizioni più estreme).
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