Ridateci lo Stato

Dalla Rassegna stampa

Quest’articolo impegna solo chi lo scrive. Perciò arriva dopo che il giornale ha espresso le sue posizioni. Ma non è mai troppo tardi per esprimere solidarietà a chi rappresenta in carne e ossa lo Stato (se avessi un giornale personale, lo scriverei con la S maiuscola, e non solo per distinguerlo dal participio passato del verbo essere o della mia condizione di fronte alla quotidiana ingiuria che abbatte sullo Stato l’orda anarchia dei Cobas, dei centri sociali, in Val di Susa o presso le discariche o contro il ministro Fornero. Mai una volta contro una prevaricazione di mafia, camorra, ”ndrangheta).
L’orda, vedi Grillo, non parla di mafia, perché mafia camorra ’ndrangheta, in jeans o in colletto bianco, sono la massa sociale dell’antistato, la metastasi dell’anarchia. Perciò mi è dispiaciuto che nella giusta (per me) reprimenda del prefetto di Napoli sia capitato proprio un prete antimafia, la solita anima candida, che s’era rivolto al prefetto di Caserta chiamandola «signora», e non signor prefetto. Ma il richiamo alle forme, anche se espresso male, era sacrosanto, perché ci rammenta quegli aspetti formali senza i quali non esiste il rispetto sostanziale: cioè il riconoscimento dello stesso Stato. Sembra averlo dimenticato l’amico Furio Colombo: ma lo sapeva Togliatti, comunista e piemontese, nella polemica con Nenni, democratico e romagnolo. E quando questi pretese d’abolire il titolo di “eccellenza”, il Migliore, che avrebbe abolito gli stessi prefetti, ricordò che prima di smantellare le forme di uno Stato occorre preparare quelle di uno nuovo: e questo è sfuggito all’amico Furio, e sfugge all’ex socialista Enrico Mentana, che da giorni invoca da La7 la destituzione del prefetto. Non è una gran scuola di educazione civica.
Me lo immagino Enrico che va al liceo del figlio e si rivolge al preside chiamandolo “signore”, e non signor preside. Non esiste, perché ogni contestatore educato si tiene le proprie gerarchie (civili, politiche, religiose), e solo irride alle altre: anche il parroco, a casa sua, si rivolge a reverendi confratelli, a sua eccellenza monsignor vescovo, a sua eminenza reverendissima il cardinale di Sacra Romana Chiesa, a sua santità il Sommo Pontefice. E si dorrebbe se sentisse alla radio o alla tv della signora Tarantola, piovuta in Rai dalla Conferenza episcopale, parlare di nuovo di “messa” e non di “santa messa”, come ogni giornalista prudente sa da qualche tempo di dover fare. E fa con zelante rispetto.
La mia solidarietà – ridicola, immagino, in un paese «Né stato né nazione» (E. Gentile), in una «Società senza stato» (S. Cassese) – va agli scienziati del Comitato grandi rischi colpiti da un magistrato a L’Aquila con una sentenza devastante: non per i condannati, ma per la protezione civile, per la scienza, per gli scienziati che con lo Stato collaborano ma non ne sono dipendenti. Ce l’hanno ricordato perfino Usa e Giappone. E dunque, per opera di questi giudici pereat mundus, lo Stato viene privato della collaborazione del fior fiore della cultura: almeno fino a quando il rapporto collaborativo non sarà posto su leggi chiare, che il governo Bersani dovrà fare.
La mia solidarietà va agli aquilani dileggiati dal dopo terremoto, va ai cittadini della Val di Magra e della Val di Vara, che esattamente un anno fa furono devastate dall’alluvione; e che ieri notte sono scesi in fiaccolate lungo le sponde, perché a distanza di un anno nemmeno la civilissima Liguria ha provveduto al controllo del territorio: cioè a rimuovere le masse vegetali e di umana immondizia che tappano le foci e fanno straripare le acque. Come le amministrazioni abruzzesi, molisane, emiliane, ondeggianti fra terremoti e processi, non hanno istituito la “polizia del cemento”: quella che deve piombare nei cantieri, controllare se vi si costruisce col cemento o con la sabbia e portare amministratori e imprenditori ladri in galera.
Credo che anche questo dovrebbe rientrare in quel “dopo terremoto” che a ragione Cialente vorrebbe veder indagato, come s’è fatto col “prima del terremoto”, a opera di un giudice troppo giovane per potersi sentire già Guariniello. Aspetti almeno d’aver raggiunto l’età della gip di Taranto, come noi aspettiamo che la signora (magistrata) ci faccia sapere come pensa di salvare, insieme alla legge e alla vita, il lavoro e l’industria, senza chiudere cancelli e aprire mense Caritas.
Siamo arrivati così alla grande politica dell’industria e del lavoro, e dunque la mia solidarietà va (chi l’avrebbe immaginato?) al ministro Fornero, per aver detto parole sapienziali: che i giovani non debbono essere schizzinosi col primo lavoro. Mio padre non sapeva l’inglese e non poteva dirmi di non fare il choosy, ma aveva un lunga bacchetta da maestro elementare per il tempo dei pantaloni corti; e, dopo la laurea, il borsellino sempre vuoto, sicché il parassita a spese della famiglia non avrei potuto farlo. Invece feci l’amanuense, riempiendo schede di cartone per il casellario di un ente, al posto dell’analfabeta (terza elementare) che le aveva riempite prima di me; e declinando la lusinghiera proposta di un grande maestro (si chiamava A. C. Jemolo), che m’aveva appena laureato in giurisprudenza, di fargli da “assistente volontario”. Volontario? A Roma? Perciò, senza fare il choosy, ho poi concorso a un impiego, e poi mi sono inventato giornalista.
Dunque, grazie ministro Fornero d’aver riesumato parole che noi della generazione del miracolo non abbiamo voluto ripetere ai nostri figli; né questi ai loro. Anche se molti di loro hanno capito da soli che ci si può laureare e fare i camerieri alle mense universitarie o gli steward ai turisti che sbarcano dai pullman. La prossima volta che le capita di dirlo, lo dica in italiano. Sperando che molti schizzinosi non stiano dimenticando anche quello.

 

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