Il richiamo alle urne irrita il Colle

Dalla Rassegna stampa

Attento lettore dei fatti della politica e normalmente ben informato (sicuramente per quanto riguarda gli orientamenti di Gianfranco Fini), Giorgio Napolitano è stato tuttavia colto di sorpresa dalla velocità con cui si è aperta la crisi al vertice del Partito della Libertà.
Trattandosi, per ora, di processi eminentemente politici, al presidente della Repubblica non resta che «stare a guardare» cosa succede, in vista di possibili ricadute sul piano istituzionale che invece lo chiamerebbero in causa. L’ordine, ovvio, di Napolitano ai suoi collaboratori è di non lasciar trapelare alcun commento, anche se la sua preoccupazione è innegabile e pronunciata. Lo è, più ancora che per gli effetti che la crisi tra il premier e Fini potrebbe avere sulla maggioranza e, in prospettiva, sul futuro della legislatura, per il fatto che essa si è verificata proprio nel momento in cui sembrava che potesse prendere il via un processo di riforme e, per di più, proprio sul contenuto delle riforme. Questo non è un problema di prospettiva, è un problema immediato. Ancora una volta, le riforme rischiano seriamente di saltare addirittura prima di assumere una qualche fisionomia. Nessun commento del Quirinale anche sulla battuta attribuita a Silvio Berlusconi a proposito del fatto che Fini dovrebbe lasciare la sua carica di presidente della Camera. Si tratta di una battuta smentita e, comunque, non c’è alcun dubbio che il
presidente della Camera non viene nominato dal premier.
L’uscita di Renato Schifani a proposito del fatto che «quando una maggioranza si divide non resta che dare la parola agli elettori» suona come una riprogrammazione di quanto avvenne nel novembre scorso. Anche allora c’erano tensioni tra Fini e Berlusconi, mentre Napolitano era in visita di Stato in Turchia. Il presidente del Senato, che in quella circostanza era capo dello Stato supplente, minacciò anche allora il ritorno alle urne in caso di mancata compattezza della maggioranza. Qualcuno giudicò questo suo intervento una prevaricazione di ruolo, data l’assenza di Napolitano, ma poi l’incidente venne chiarito. Napolitano sdrammatizzò, facendo notare che «la Costituzione è chiara» (come dire che Schifani poteva dire quello che voleva) e il presidente del Senato dichiarò che la sua era stata soltanto «una valutazione politica». Poi ci fu anche un chiarimento diretto tra la prima e la seconda carica dello Stato. Per quanto riguarda il Quirinale questa volta è la stessa cosa. Sul piano politico Schifani può dire quello che vuole, anche se, essendo comunque presidente del Senato, la sua immagine di imparzialità rischia di soffrirne.

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