La ri-svolta di Francesco, l'uomo che si piace tanto

Voltagabbana? No, sarebbe ingiustamente offensivo. Banderuola? Neanche, perchéè quasi sempre riuscito a prendere il vento sbagliato. Opportunista? Nemmeno, vedi alla riga precedente. Traditore? Rinnegato? Niente di tutto questo, perché per tradire e rinnegare occorre avere avuto in precedenza qualche potente convinzione.
Non è dunque possibile parlare di Francesco Rutelli sui canoni del più crudo linguaggio politico novecentesco (neanche nel secolo scorso andavano piano con le parole). E il suo tortuoso percorso non è nemmeno classificabile nella categoria dell'antipolitica. Piuttosto, il personaggio potrebbe essere catalogato tra coloro che della politica fanno gioco, divertimento, passatempo, oltre che, per inciso, fonte di dignitoso sostentamento.
Sguardo profondo, sorriso accattivante, mascella volitiva, capello brizzolato al punto giusto, a 55 anni egregiamente portati Francesco Rutelli si accinge all'ennesimo cambio di partito con lo spirito dell'eterno ragazzo che piace e si piace, e non capisce perché mai il mondo aspetti ancora a prendere la storica decisione di seguirlo. Prossima tappa (forse) una nuova formazione con Pier Ferdinando Casini, e sarebbe la più affascinante coppia di eterni ragazzi mai apparsa sulla scena.
A giudicare dalle reazioni di sollievo affidate a internet dai militanti ed elettori del Pd, non pare che l'addio lasci indietro troppi rimpianti. Del resto era già apparso chiaro nelle ultime comunali di Roma che Francesco il Piacione non piaceva più: piuttosto che votare lui, legioni di elettori se ne rimasero a casa, concedendo pure il Campidoglio ai saluti romani dei fans di Gianni Alemanno.
La biografia ufficiale sul suo sito internet prende il largo addirittura a partire dal Cinquecento nelle Marche, dove si trovano le tracce più antiche della famiglia Rutelli; peraltro il ramo principale si sviluppa nell'Ottocento in Sicilia per poi rifare il cammino inverso e radicarsi a Roma. Ingegnere e costruttore il trisavolo Giovanni; celebre scultore il bisnonno Mario; c'è anche un nonno materno commercialista in Firenze, poi il padre Marcello architetto in Roma, per arrivare infine all'attuale senatore Francesco, già vicepremier, già ministro, già deputato, già presidente, già sindaco, già consigliere comunale, già segretario.
Già. Perché tutto comincia in giovanissima età e subito da un'alta carica: a soli 26 anni Francesco Rutelli è eletto segretario. Solo che è segretario del Partito radicale, dove il segretario conta zero perché lì c'è da sempre e per sempre Marco Pannella, un uomo solo al comando. All'ombra di quel monumentale istrione il radicale Rutelli resiste solo qualche anno, poi diventa il Verde Rutelli cogliendo l'onda del dopo-Chernobyl. Ma se i radicali sono sempre rimasti una pattuglia, anche i Verdi non riescono mai a sfondare e alla lunga Francesco sente stretta addosso anche la casacca ambientalista.
A fine 1993 Rutelli è in quella pattuglia di sindaci "della società civile" che fanno man bassa nelle grandi città e a lui tocca la sua, la più importante: Roma. Resterà sindaco e con risultati non disprezzabili per dieci anni, anche se il clima cambia nella primavera del 1994, inizio di quello che per ora è il quindicennio berlusconiano.
Anche da sindaco non perde il gusto per la vita di partito: a un certo punto lo si trova partecipe di un tentativo, presto abortito, di dar vita al movimento dei "Democratici", poi prende parte all'Ulivo di Romano Prodi per l'inattesa vittoria del 1996. Peròè anche partecipe del prevedibile caos che in poco tempo travolge Prodi e alla lunga tutto l'Ulivo, che giunge stremato al voto del 2001 e per fronteggiare la vendetta elettorale di Berlusconi prova a giocarsi l'"uomo nuovo": il candidato premier è lui, Francesco Rutelli, il sindaco che ancora piace. Ci prova e non si muove male ma l'impresa è disperata: riesce a perdere con appena un paio di punti di distacco, ma perde.
Intanto trova un altro partito: si chiama Margherita e sta all'ala destra del centrosinistra. Presidente, Francesco Rutelli. È in quel periodo che matura la nuova vocazione dell'ex radicale, ex verde, ex tante cose: Rutelli guarda sempre di più a Santa Romana Chiesa. Quando Prodi risalva il centrosinistra, nel 2006, Rutelli diventa il suo vice e ministro della Cultura.
Dura poco e dura male. Nuovo partito cercasi e così nasce il Partito democratico: Rutelli non può mancare e si propone come leader di una corrente che non c'è ma che nei momenti topici esprime i suoi tormenti e quando occorre picchia duro. Regolarizzare le unioni di fatto? Mai più. Pillola del giorno dopo? Orrore. Diritto di morire in pace? Beh, chissà, vedremo. Li chiamano "teodem".
Intanto succede di tutto, Berlusconi rivince, il Pd rischia il naufragio, trascorre un anno a litigare con se stesso e Rutelli si inabissa per un po': diventa presidente del Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica, l'organismo che dovrebbe controllare il lavoro dei servizi segreti. Lo fa così bene che nessuno se ne accorge.
Arriva infine il giorno della svolta, anzi della risvolta: il Pd ancora una volta si salva a bordo di tre milioni di inattese schede popolari ma lui non vuole vivere la prossima era Bersani. Comincia un altro Rutelli. Se ne va «al servizio di un'altra offerta politica».
A rassicurazione dei suoi ammiratori, la biografia dell'uomo dai mille partiti contiene anche una certezza incrollabile: Barbara Palombelli, già star del giornalismo politico, rapporto stabilissimo dal 1979 sancito con due matrimoni, quello civile nel 1982 poi benedetto in chiesa nel 1985. Di questi tempi, non pare poca cosa.
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