Renzi l’amerikano? No, europeo

Dalla Rassegna stampa

Solo in un paese di pazzi può essere considerato un disvalore la capacità di un leader politico di una parte di attirare il consenso di cittadini che hanno votato, in precedenza, dall’altra parte. In un paese di pazzi e in Italia, dove il comunismo etico e antropologico del Berlinguer dei primi anni Ottanta persiste nel ceto dirigente del Pd, in settori rilevanti della sua intellighenzia, in pezzi tardo-ideologizzati di elettorato Una forma di razzismo sociologico fondata sulla diversità morale e psico-evolutiva di una minoranza di italiani rispetto alla maggioranza. Diversità che rende migliori e superiori rispetto a tutti gli altri, droga il senso d’appartenenza fino alla più acuta dipendenza e alimenta la pretesa, pur restando minoranza, di governare la nazione alleandosi (preferibilmente dopo le elezioni) con i meno peggio tra i reietti.
Matteo Renzi, rompendo l’apartheid sudafricano costruito dalla sinistra italiana postcomunista, mostra coraggio e intelligenza, perché la rottura non potrà che giovare a lui politicamente e alla sinistra culturalmente. E il fatto che Renzi punti a solleticare l’appetito del voto centrista è in perfetta coerenza con quanto accade ovunque nel mondo occidentale. Pochi giorni fa l’Spd, in vista delle elezioni politiche che si terranno tra un anno, ha scelto come candidato cancelliere Peer Steinbrück, leader socialdemocratico di tendenze politiche liberali. L’ha scelto un anno prima, perché nei partiti “seri” si fa così. L’ha scelto in contrapposizione al capo del partito, Sigmar Gabriel, considerato troppo di sinistra, incapace di fare proprio il voto degli elettori delusi da Angela Merkel. L’Spd ha cioè svolto, come coerente scelta di partito, il compito che Matteo Renzi s’incarica di svolgere sfruttando l’occasione delle primarie.
Non è Matteo Renzi l’ET della politica italiana. Lo è semmai Pierluigi Bersani. Renzi difatti si muove in coerenza con quanto accade in Europa, dove le forze della sinistra riformista stanno tutte cercando un riallineamento verso il centro. Mentre Bersani stringe un patto d’acciaio con la sinistra radicale, in Francia il Vendola parigino, Mélenchon, guida la protesta di piazza contro Hollande, in Germania Steinbrück conferma che non si alleerà mai con la Linke, in Gran Bretagna Ed Miliband tenta di rafforzare la sua virata centrista. L’opposto di quello che fa Bersani col suo asse dei progressisti insieme a Vendola. È molto più “ordinaria” la proposta politica di Renzi in rapporto allo scenario continentale, che il fronte popolare che vorrebbe mettere su Bersani.
Sebbene Renzi cerchi, legittimamente, un ancoraggio più forte con l’esperienza passata e recente dei democratici americani, la sua iniziativa sembra così muoversi in maggiore sintonia con quanto avviene in Europa. Circostanza che, lungi dall’essere un problema, risulta essere un elemento di rafforzamento della sua sfida per il governo dell’Italia. Una vittoria di Renzi alle primarie del centrosinistra sarebbe più logica nel movimento di riallineamento al centro che Hollande, Steinbrück e Miliband stanno realizzando. Una vittoria di Bersani e dell’asse con la sinistra radicale rappresenterebbe un’eccezione. L’ennesima eccezione italiana in un contesto continentale che si muove, viceversa, con coerenza e visione in direzione opposta a quella dell’alleanza tra progressisti e moderati.
L’ultima prova della maggiore sintonia di Renzi con l’Europa rispetto a Bersani è data, infine, dal dibattito intorno all’Agenda Monti. Renzi sta lavorando (lavoro che va affinato...) per un posizionamento in un continuità evolutiva con l’opera del senatore bocconiano. Bersani dichiara, a ogni piè sospinto, una discontinuità involutiva in rapporto a tutte le scelte decisive compiute da Monti, dalle pensioni alla riforma del lavoro. Quelle riforme richieste dall’Europa e nei confronti della quali Hollande, Steinbrück e Miliband non sono disponibili ad accettare che l’Italia torni indietro. Come appunto chiede Bersani; e come non chiede Renzi.

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