Renzi cerca la mediazione sulle regole, i bersaniani lasciano poche speranze

La possibile mediazione comprende la registrazione direttamente al seggio (e non più in un apposito ufficio elettorale distaccato) anche il giorno stesso del voto e l'apertura del ballottaggio a tutti gli elettori, compresi coloro che al primo turno non avessero sottoscritto il patto di fedeltà al centrosinistra. Per capire se l'accordo ci sarà bisognerà attendere la riunione della commissione Statuto del Pd, convocata per questa mattina alle 11. Il clima della vigilia, però, è tutt'altro che sereno. Se Matteo Renzi è disposto a "cedere" sul ballottaggio (purché aperto) e sulla pubblicazione dell'albo, Roberto Speranza, coordinatore del comitato Bersani, chiude qualsiasi spiraglio all'intesa: «Noi non siamo disposti a prestare il fianco a giochi e giochini. Le regole servono per garantire la partecipazione, la trasparenza e, quindi, la scelta di milioni di cittadini che si riconoscono nel centrosinistra».
Per tutta la giornata di ieri, le linee telefoniche al Nazareno sono state caldissime. Da una parte, i colloqui tra gli staff di Renzi e di Bersani. Dall'altra, le pressioni sul segretario dei suoi sostenitori, per resistere a qualsiasi tentazione di modificare le norme concordate. Una manovra a tenaglia dalla quale il leader dem fa fatica a sottrarsi. È stato lui a volere «primarie aperte» per la scelta del candidato premier del centrosinistra, contro la volontà degli altri dirigenti.
Adesso questi ultimi chiedono garanzie e non concederle potrebbe rappresentare un grosso rischio: per la serena riuscita dell'assemblea di domani (rimangono i sospetti soprattutto su Bindi e Fioroni, che potrebbero mettere a rischio la maggioranza qualificata per la norma transitoria che consente a Renzi e gli altri di candidarsi) e per un risultato delle primarie, che ancora viene considerato tutt'altro che scontato. Nel caso in cui le regole rimangano rigide, invece, il pericolo che qualcuno teme è quello estremo: una scissione che ponga fine al progetto politico del Pd. Per tutta la giornata di ieri, dal fronte bersaniano (in senso ampio) sono partite numerose dichiarazioni di chiusura: dal governatore toscano Enrico Rossi a Beppe Fioroni, passando per il franceschiniano Ettore Rosato. E a Montecitorio, i pochi deputati presenti difendevano strenuamente le regole predefinite. Anche se qualcuno, fuori dagli schieramenti dei due contendenti, confidava a debita distanza dai capannelli dem: «Queste non sono primarie, è una corsa a ostacoli. In commissione Statuto deve cambiare qualcosa o la gente scappa».
Prima di arrivare a Prato, nel tardo pomeriggio di ieri, Renzi twitta un chiaro «no a chi vuol fare i giochini sulle regole» e «sì alla bella politica». E poco dopo, dalla Casa del popolo della cittadina toscana, dice chiaramente: «Le primarie servono per portare le persone perbene a votare, ma con questo sistema si portano le truppe cammellate e chi ha interessi e sempre gli stessi». Limiti che «danno il senso della paura del gruppo dirigente». Come spiega il coordinatore della campagna renziana, Roberto Reggi, «noi siamo d'accordo che serva un albo e per noi andrebbe anche enfatizzato, va bene anche il doppio turno, ma la registrazione in un luogo diverso dai gazebo in cui si vota e l'impossibilità di votare solo al secondo turno se non ci si è registrati al primo è un ostacolo oggettivo alla partecipazione e questo lo sanno anche loro». Insomma – sintetizza Renzi – «paghi, dichiari di essere elettore di centrosinistra, di aver letto la carta di intenti, la biografia di D'Alema, di conoscere tutte le strofe di Bandiera rossa ma preregistrarsi...». Quello proprio no.
A farsi sentire su Twitter è anche Nichi Vendola: «Se fosse vero che può votare al secondo turno solo chi ha votato al primo, mi sentirei più un candidato di un reality show che delle primarie». Se l'assemblea dem domani dovesse confermare questo mandato a Bersani, insomma, potrebbe essere il tavolo della coalizione a imporre la modifica dei punti più discussi.
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