La regola del fallimento

C´è un parallelismo tra l´accordo sullo stop ai tagli dei gas serra deciso dall´asse Pechino-Washington e la sconfortante inadeguatezza del summit Fao a Roma. Una comunanza che non riguarda tanto le scelte che sono state fatte durante i due meeting, quanto le non-scelte.
L´assonanza è stata messa in evidenza soltanto da Papa Benedetto XVI, seppur indirettamente, quando ha dichiarato nel suo discorso inaugurale: «I metodi di produzione alimentare impongono un´attenta analisi del rapporto tra lo sviluppo e la tutela ambientale. Il desiderio di possedere e di usare in maniera eccessiva e disordinata le risorse del pianeta è la causa prima di ogni degrado dell´ambiente». Fa pensare, ma gliene va dato atto, che l´unico che abbia speso parole sensate sia stato il Pontefice, nella sua condanna allo spreco, al consumo sconsiderato, alle sovvenzioni inique e alla speculazione finanziaria sulle derrate.
Di fronte alle cifre, si nota l´impotenza della Fao nel compiere la sua missione: soltanto un anno fa, su queste colonne, parlavamo di fallimento del summit 2008 con 850 milioni di affamati e malnutriti, e previsioni di 100 nuovi milioni per il 2009. Ebbene, i nuovi ultra-poveri sono stati invece 170 milioni quest´anno, per arrivare a superare il record nella storia dell´umanità: un miliardo e venti milioni. Dicono che vogliono debellare la fame entro il 2015, ma i numeri crescono ogni anno: un po´ di più se c´è la crisi, un po´ di meno se il libero mercato ha la pancia piena.
A ben vedere, allora è la Fao a non essere più un soggetto adatto a risolvere il problema. È dal dopoguerra che ci prova, negli ultimi 16 anni sempre sotto la direzione di Diouf. Nel 1943, alla Conferenza delle Nazioni Unite sull´alimentazione e l´agricoltura di Hot Springs in Virginia, riecheggiò: «Determinati ad affrancare dal bisogno tutti i popoli della Terra perché la povertà è la causa principale della fame e della malnutrizione». E ora ci vorrebbero riuscire in sei anni.
Del resto, la Fao è espressione delle Nazioni Unite, in mano a quelle stesse Nazioni che praticano in abbondanza tutto quanto condannato dal Papa, tutto quanto affama i poveri, tutto quanto fa parte di un sistema che - come dimostrano Barack Obama e Hu Jintao - nessuno pare avere voglia di sconfessare. E qui la Fao, che si mangia in gestione e stipendi il 73% del suo budget miliardario, dimostra che sta anche perdendo di credibilità se alcuni dei Paesi più importanti - impegnati in incontri unilaterali - mandano delegazioni di secondo piano, lasciando per contro la scena romana soprattutto ad alcuni tra i residui dittatori del mondo, se non al solito traffico impazzito.
Ban Ki-Moon ha dichiarato che ieri mentre si svolgeva il summit morivano 17.000 bambini di fame, come ogni giorno, uno ogni 5 secondi: terribile. Diouf da par suo - simbolo dell´inadeguatezza della struttura che presiede - si è lasciato andare al suo monotono, inascoltato appello: «Basterebbero 44 miliardi di dollari all´anno per cancellare la fame della faccia della Terra». Berlusconi invece, a far gli onori di casa, vantandosi della promessa da 20 miliardi in tre anni strappata al G8 de L´Aquila, non ha spiegato da dove e quando li tireranno fuori, anche perché dei leader del G8 non si è presentato nessuno. Ricordiamo che soltanto un anno fa - ugualmente terribile - mentre scoppiava la crisi finanziaria, i governi hanno stanziato in 15 giorni 2.000 miliardi di dollari per salvare quelle banche che oggi hanno tranquillamente ripreso il loro andazzo sconsiderato, bulimico e sfacciato.
2.000 miliardi in 15 giorni per le banche e nessun aiuto concreto in questo vertice Fao che denuncia il superamento del miliardo di denutriti nel mondo. Per ora ne usciamo con soltanto cinque vaghi e burocratesi punti programmatici, tra cui ne spicca uno: il quarto, quello in cui si accenna alla riforma della Fao stessa. Spicca perché questo dovrebbe essere forse il primo punto per iniziare a porre rimedio alla fame nel mondo. E poi parleremo di come spendere i soldi in progetti locali, dedicati ai piccoli contadini, mirati a una reale sovranità alimentare e a una sostenibilità delle produzioni. Modi per ridurre gli sprechi e migliorare l´efficienza della produzione che non va necessariamente aumentata. A che servono Rivoluzioni Verdi in Africa quando buttiamo via quasi metà del cibo che produciamo, oltretutto pesando gravemente sul livello di emissioni di CO2? Non ci vuole più cibo, ci vogliono agricolture più forti in ogni Paese del mondo; tanto in Africa (perfettamente in grado di farcela se prima di essere aiutata sarà liberata dai gioghi post-coloniali e dal dumping commerciale) quanto in Occidente. Agricolture in mano ai contadini e non alle multinazionali, ai grandi distributori o agli speculatori.
La governance mondiale non è mai stata così in crisi, succube di un sistema che ci divora e li divora, in cui anche la speranza Barack Obama si trova costretto a deludere le aspettative dei tanti che credevano nell´inizio immediato di un profondo cambiamento. Per ora temo non basterà la Fao, non basteranno Obama e nemmeno le parole del Papa. Meglio allora puntare tutto sui contadini e sulle loro comunità. Una cruda verità al vertice Fao è emersa da uno di loro, uno del Sud Italia, che ha dichiarato rabbioso: «Noi agricoltori stiamo diventando dei pezzenti, perché non riusciamo a comprare neanche il pane che produciamo».
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