Reati d'opinione residui autoritari

La libertà italiana è ancora mortificata da moltissimi reati d'opinione. Alcuni sono ridicoli: sopravvive persino il reato di disfattismo politico o economico in tempo di guerra. Cosa aspettiamo ad abrogarli, per rendere l'Italia un po' più civile?
Il caso Sallusti non c'entra con i reati d'opinione (sebbene con la scusa della diffamazione siano state sanzionate e continuano a essere sanzionate, fortunatamente non con la galera, opinioni critiche ma non diffamatorie). Però se si è riparlato di reati d'opinione, contestandone la legittimità democratica, si può approfittare della circostanza e riesumare dalle cripte dell'oblio una memorabile battaglia dei Radicali, a suo tempo seguita da una parte della sinistra liberale o libertaria non ancora messa a tacere dall'uragano giustizialista in cui la sinistra maggioritaria si è purtroppo fatta travolgere da Tangentopoli in poi. In quella battaglia non ci fu la destra liberale: ma quella non c'è mai, bisogna pur farsene una ragione.
Oggi invece si può ricominciare a pensare come fare piazza pulita di quella fonte permanente di arbitrio e di arroganza illiberale che sono i cosiddetti «delitti contro la personalità dello Stato». Via la «propaganda ed apologia sovversiva e antinazionale». Via il «vilipendio della Repubblica, delle istituzioni costituzionali e delle Forze Armate». Via il «vilipendio alla Nazione italiana». Naturalmente augurarsi l'abrogazione dei reati d'opinione non significa che debba venir meno un'azione di contrasto a opinioni considerate aberranti e offensive. Ma deve essere un contrasto politico, culturale, non giudiziario. Affidato agli argomenti, non ai carabinieri che recapitano un avviso di garanzia. Giudicato dai lettori, non da una toga che si arroga il diritto di stabilire ciò che può essere detto e ciò che non lo è, quale opinione perseguire per legge e quale tollerare.
Ma il «vilipendio alla bandiera o ad altro emblema dello Stato» dovrebbe scomparire da un ordinamento che voglia assomigliare a una democrazia liberale. Il «vilipendio alla religione» lo si può lasciare volentieri ai fondamentalisti dell'islamismo che considerano vilipendio ogni dissenso, e «blasfemia» ogni manifestazione di pensiero libero. E anche l'«apologia del fascismo» potrebbe essere riposta nel magazzino dei ferrivecchi: se il fascismo non ha ancora smaltito la sua eredità, lo si deve appunto alla sopravvivenza in regime democratico dei reati d'opinione.
Sarebbe interessante se una nuova stagione referendaria potesse alimentare la battaglia contro questi residui autoritari che sono un ostacolo alla libera manifestazione dei pensieri, anche dei più «intollerabili». Se non fosse che i partiti italiani non rispettano la volontà popolare, come è accaduto con il referendum contro il finanziamento pubblico dei partiti o quello per la privatizzazione della Rai o per la responsabilità civile dei giudici, e riescono a sterilizzare i risultati. E questa purtroppo non è un'opinione, è un fatto.
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