I razzi da Gaza tornano a uccidere

Dalla Rassegna stampa

Venti secondi non bastano a scamparla. Quando partono le sirene del si-salvi-chi-può, la gran parte dei contadini delle serre israeliane di Netiv Ha'asara scappa nel rifugio più vicino, se c'è. Accade da mesi, da anni. Non ha mai smesso d'accadere quest'anno. E' accaduto anche ieri
mattina, tre volte. Venti secondi hanno separato l'allarme rosso dal boom del Qassam. E non sono bastati a salvare un bracciante thaìlandese di 3o anni. Il razzo ha sfondato il tetto di plastica, nella zona di Ashkelon, ed è esploso: addosso al povero thailandese e, simbolicamente, a Catheríne Ashton, l'Alta rappresentante per la politica estera e la sicurezza Ue che da un'ora stava visitando Gaza, stringendo le mani dei funzionari Onu. Disperati i compagni di lavoro dell'uomo, prima vittima quattordici mesi dopo l'operazione Piombo fuso.
«Estremamente scioccata» la baronessa Ashton, per la prima volta nella Striscia. In allerta il governo israeliano: «Si sta superando la linea rossa - dice il vicepremier Silvan Shalom - e non possiamo accettarlo. La risposta sarà appropriata e forte».
Nella notte quattro raid sulla Striscia. Il premier Benjamín Netanyahu telefona al segretario di Stato Usa Hillary Clinton e parla di «misure per costruire la fiducia reciproca» tra Israele e Anp in Cisgiordania. Si torna a parlare, si torna a sparare. Con straordinario tempismo, i signori dei terrore colpiscono nei giorni in cui la diplomazia, faticosamente, cerca di riaprire negoziati sigillati fra israeliani e palestinesi. il Qassam cade il giorno della visita di «Miss Pesc». E il giorno prima della riunione del Quartetto a Mosca, nobilitata dalla presenza della Clinton. E due giorni
prima dell'arrivo di Ban Ki-moon, segretario dell'Onu. E due giorni dopo la Giornata della rabbia proclamata da Hamas, che ha messo a ferro e fuoco Gerusalemme col pretesto di due sinagoghe in restauro a Hebron e troppo vicino alla moschea Al Aqsa. Chi spara i razzi conosce bene l'agenda della politica e sa il momento giusto, per mettere sul tavolo delle trattative l'arma del terrore. A rivendicare il razzo, unica novità, stavolta non è Hamas: sono i salafiti qaedisti di Ansar al-Sunna, apparentemente nemici dichiarati dell'autoproclamato governo della Striscia. Ma la motivazione del gesto coincide con quella degli avversari politici palestinesi: «Un colono sionista è stato ucciso - recita un comunicato -. L'azione jibadista giunge in risposta all'assalto
sionista contro le moschee di ibrahimi e Al Aqsa e contro l'aggressione a Gerusalemme».
Più che ai negoziati, l'esplosione rischia di complicare la vita proprio ai palestinesi. Che sono divisi. E che sono, nella maggioranza, poco inclini a scatenare quella Terza intifada cui troppi li incitano (l'ultimo è Mohammed Dahlan, l'ex proconsole di Arafat cacciato dalla Striscia, oggi ricco cairota: ínvita Fatab e Hamas a unirsi «contro il comune nemico»). La diplomazia, quella, va avanti su binari suoi. Col decisivo intervento di Barack Obama, che chiude le turbolenze dell'ultima settimana: «Non c'è crisi fra Usa e Israele - dice -. Gli amici ogni tanto non vanno d'accordo. Noi non lo siamo su come far progredire il processo di pace».
Il presidente americano cita espressamente il ministro dell'Interno israeliano, Eli Yishai, come responsabile della bufera: qualcosa che somiglia a un segnale, per Bibi Netanyahu. Domenica torna nella regione l'inviato George Mitchell, in mano le condizioni per riavviare i negoziati indiretti. Gli americani, scrive il New York Times, stanno pensando di presentare una proposta fatta in casa. Assolutamente nuova. E di smentire in questo modo tutta la politica obamiana dell'ultimo anno, che puntava a non prendere troppa iniziativa e, casomai, a mettere insieme le idee altrui.
 

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