La ragione contro i mercanti di odio

Naturalmente non siamo negli anni di piombo, né la sanguinosa stagione del terrorismo ritornerà. La storia non si ripete come un goffo serial tv e combattere, evocandoli, i fantasmi del passato serve solo a lasciarci inermi contro gli spettri del futuro. Il terrorismo eversivo degli anni 70 aveva dietro di sé la guerra fredda, le ideologie, appoggi potenti e simpatie diffuse, eppure è stato sconfitto dalla Repubblica democratica. Il pericolo ora - testimoniato dall'agguato di cui è stato vittima domenica a Milano il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi - è che odio, rancore e risentimento inquinino a morte il discorso politico italiano. Non ci sono parole migliori per chiarirlo di quelle espresse con severità dal presidente Giorgio Napolitano al direttore del Tg2 Mario Orfeo: viviamo «un'esasperazione pericolosa della polemica politica e bisogna fermarla» per ritornare «a un normale e civile confronto tra le forze politiche e le istituzioni. Non ha senso che gli uni accusino gli altri per il clima che si è creato».
Da mesi Il Sole 24 Ore, con altre, poche, voci isolate, ha difeso la filosofia del dialogo e del raziocinio che così bene il presidente Napolitano incarna.
Chi ha tenuto duro sull'equanimità, i valori comuni e l'interesse nazionale è stato irriso, attaccato da destra e da sinistra come un benpensante timido, un «neutralista» incapace di prendere partito in una falsa guerra civile che vede i falchi delle fazioni affrontarsi senza rispetto alcuno per gli ideali, le persone, la verità. Non si tratta ora, come tanti si ostinano a fare sui peggiori blog della peggiore internet, di stabilire «chi ha cominciato», di evocare le responsabilità di maggioranza e opposizione in questi torvi giorni prima di Natale. Non possiamo andare avanti con l'odio, con una democrazia dove maggioranza e opposizione si negano a vicenda comune cittadinanza democratica. E le sagge parole del sottosegretario Letta, come la visita che il neo segretario del Pd Bersani ha fatto ieri al premier Berlusconi in ospedale (smentendo, con intelligenza, le peggiori teste calde, nel suo partito e tra i suoi alleati) provano come la proposta di ritorno alla ragione di Napolitano abbia interlocutori importanti.
Il volto sanguinante di Berlusconi su tutti gli schermi del mondo è un marchio per la Repubblica: chi gongola, contro un leader detestato o sperando in un meschino calcolo politico, è il vero folle, e non vede come per gli italiani si tratta di una vergogna e di un'umiliazione. Una ferita per tutti noi. Nel ricevere la solidarietà da tante voci, Berlusconi - che gli amici descrivono come «scosso» - s'è chiesto «perché mi odiano tanto?». E, anche chi ha mosso in questi anni legittime critiche al fondatore di Forza Italia e del Pdl, deve chiedersi ora «perché ci odiamo tanto tra di noi, perché non sappiamo dare alla rivalità politica serenità anche di scontro, ma senza violenza, verbale e fisica?».
La risposta dei pasdaran, a sinistra e a destra, sarà la solita, nessuna tregua, perché il loro solo interesse è lo scontro continuo, senza quartiere, crepi la convivenza civile ma prosperi, e si arricchisca, la propria fazione. Tutti gli italiani di buona volontà, abbiano sostenuto in questi anni il lavoro politico di Berlusconi o abbiano dissentito dal suo operare, devono isolare e battere i commessi viaggiatori del rancore. Non è ancora troppo tardi, ma non c'è più tempo da perdere. Non è per noi soddisfazione ricordare quanto a lungo abbiamo chiesto di non smarrirci in una guerriglia dove le opinioni cedono alla propaganda. È, anzi, motivo di rammarico non avere avuto la forza di imporre la ragione sulle intolleranze rivali. Sappiano però i lettori che, fino all'ultimo, non smetteremo di lavorare per un'Italia dove sangue e calunnia non siano più, mai più, linguaggio della politica.
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