Il Quirinale non entra nelle urne

Dalla Rassegna stampa

La sortita di Berlusconi in favore di Mario Draghi al Quirinale è stata un’improvvisazione, semplicemente l’ennesima trovata del momento, utile a distrarre i cronisti. Una leggerezza che ha solo dato un fastidio in più al presidente della Bce il quale, fra tanti problemi, ha dovuto perder tempo per diramare l’inevitabile smentita.
In realtà è improbabile che Berlusconi coltivi davvero l’idea (peraltro, nel remoto caso, ottima) di Draghi come presidente della repubblica. E comunque, tranne una sola eccezione, non è mai capitato che una campagna elettorale venisse attraversata e condizionata più di tanto da una successiva scadenza presidenziale.
Ciò grazie soprattutto alla saggezza dei costituenti, seccamente antipresidenzialisti, che vollero rendere difficile la sovrapposizione fra cambio di legislatura e di presidente optando per durate di mandato molto diverse.
Ma anche quando gli eventi hanno finito per coincidere, come quest’anno e come nel 2006, le carte presidenziali sono rimaste ben coperte durante la campagna elettorale. La scelta del capo dello stato è prerogativa che le logiche di palazzo tengono strettamente per sé, non consegnano al corpo elettorale. Per fortuna, date le caratteristiche del ruolo in Costituzione.
Le speculazioni su chi sarà il successore di Napolitano sono naturalmente legittime, Monti e Bersani le hanno anche autorizzate con qualche irrituale commento. Rimane il fatto che il 24 febbraio gli italiani andranno a votare per un parlamento, nessuno chiederà loro altre indicazioni né credo che loro penseranno al Quirinale.
L’unica eccezione a questa costante la introdusse nel 1999 Emma Bonino, che alla scadenza del mandato di Scalfaro sfruttò la campagna popolare «Emma for president» non per salire effettivamente sul Colle, bensì per proiettare i radicali verso un 9 per cento alle elezioni europee mai più eguagliato. Un’operazione abile e disinvolta, da raiders della politica, irripetibile però da parte di partiti più consistenti. A parte il fatto che il rapido ritorno dei radicali su quote elettorali più abituali prova che le forzature istituzionali e costituzionali producono risultati effimeri.
Del prossimo capo dello stato si parlerà davvero fra tre mesi. E considerando il ruolo che Napolitano avrà molto prima, all’indomani del voto politico, prevedo anche che battute sui successori come quella di Berlusconi non si ripeteranno spesso.

 

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