Qui finisce l’avventura dell’«albertosordi» made in Brianza

Ora la bolla esplode, l’avventura sta per finire. Si può quindi tentare un bilancio. La parola chiave per capire il quasi ventennio berlusconìano è nostalgia. Il contrario della sbandierata modernità. Era ed è una vecchia Italia quella che si è nascosta per diciassette anni dietro la maschera e la bandiera di Berlusconi. Vecchio, a sua volta, fin dalla prima apparizione. Il messaggio della discesa in campo, lui col doppiopetto e gli slogan degli anni Cinquanta, l’anticomunismo, il «ghe pensi mi», «mi sono fatto da solo», «la trincea del lavoro», il boom economico. Vecchio nel modo di parlare, di essere, di vestire, di vivere e divertirsi, di fare televisione. Con tutti i vizi di una generazione cresciuta negli anni Cinquanta, la misoginia camuffata da dongiovannismo, il chiagni e fotti, il fiero disprezzo per la cultura, l’assenza di autentico umorismo dei barzellettieri, un’autoindulgenza spinta fino ai deliri del narcisismo assoluto. Anche i pregi, certo: la tenacia, l’incredibile capacità di lavoro, la combattività, il vitalismo.
Un albertosordi della Brianza, assai poco innovativo come imprenditore, rispetto a tanti colleghi del Nord. Ma tanto più sveglio nel profittare, come avrebbe detto Gadda, del corto circuito politico-professionale. Naturalmente, con la retorica qualunquista dell’antipotere, di quello fuori dai giri. Nel privato, un ometto ricchissimo, con la villona alle spalle e la moglie bella, le battute da capufficio bauscia, il rimpianto per i bei bordelli d’una volta, il gusto per la finta canzone napoletana e la greve imitazione degli chansonnier francesi. Letture zero, libri intonsi da arredamento. In breve, l’incarnazione del sogno di molti connazionali.
Fondò il «moderno» impero televisivo portando a Canale 5 Mike Bongiorno, pensionato Rai, sdoganando le maggiorate, serie di telefilm dismesse dagli americani, un catafalco dei mezzibusti come Emilio Fede. Nel momento più critico di Tangentopoli, alla vigilia di una svolta possibile nel Paese e inevitabile nel resto del mondo dopo la caduta del Muro, Berlusconi ha intercettato la nostalgia della maggioranza. Nostalgia di tutto, degli anni Ottanta appena finiti, del boom economico, del comunismo e dell’anticomunismo e sempre del fascismo, di un’Italia da 1948, di un’America e di mondo che non sarebbero mai più stati come una volta. Nella ferma determinazione a ignorare i temi veri della modernità, le nuove competizioni, l’immigrazione di massa, le rivoluzioni tecnologiche, i mutamenti sociali. Per sua fortuna, i capi avversari erano un gruppo di bolsi ex dirigenti del Pci. Ha foderato questa nostalgia con una modernità di facciata e gli hanno perdonato tutto. La bolla di sapone che ora esplode, rivelando il vuoto.
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