"Querido, è caduto il muro"

Nonostante un sentimento diffuso di scetticismo, il progetto europeo nato insieme alla Cortina di Ferro ha fatto grandi passi in avanti nei vent’anni che ci separano dalla caduta del Muro di Berlino. La “piccola Europa” dei Sei paesi fondatori si è estesa a buona parte del continente, non dall’Atlantico agli Urali come aveva auspicato De Gaulle ma dalle rive del Tago fino al Mar Nero giungendo a Nord alle soglie di San Pietroburgo unendo insieme quasi mezzo miliardi di abitanti che parlano ventitre lingue e scrivono in tre alfabeti. Dal gennaio 2002 una moneta unica ha sostituito le monete nazionali prima di dodici paesi ed ora di sedici mentre le frontiere nazionali sono cadute fra ventitre paesi anche al di fuori dell’Unione europea. Dal 1987, due milioni di studenti hanno usufruito del programma Erasmus e dal 1997 decine di migliaia di giovani europei hanno partecipato al Servizio Volontario Europeo. Il Muro di cemento eretto a Berlino agli inizi degli anni ‘60 è caduto, apparentemente in modo casuale, la notte fra il 9 ed il 10 novembre 1989 ma molte e profonde crepe si erano formate nei muri politici, sociali e culturali che dividevano l’Europa. Nel mondo globalizzato dei media le manifestazioni di Praga, Varsavia, Vilnius e Dresda avevano si erano moltiplicato come una buona epidemia in tutto l’impero sovietico laddove giungevano attraverso i canali delle TV occidentali le immagini di chi aveva deciso di usare la non-violenza contro la violenza dei regimi di polizia. Pensiamo oggi che il cambiamento sarebbe stato ancora più rapido se il mondo globalizzato avesse potuto usufruire vent’anni fa di internet, di facebook e twitter e dei telefoni cellulari. Ricordo un aneddoto divertente della notte del Muro che conferma la forza dei media. Si svolgeva quei giorni a Berlino, come tutti gli anni, la Settimana Verde e la commissione agricoltura del Parlamento europeo si era riunita nella parte occidentale della città per approvare, fra l’altro, un parere sul regolamento relativo all’organizzazione comune del mercato della patata. La discussione era stata animata ma l’unanimità dei deputati aveva infine approvato la relazione scritta da un deputato spagnolo. Stanco ma soddisfatto, l’onorevole europeo si era infine ritirato in albergo annunciando alla moglie a Madrid la buona novella. Davanti alle immagini della TV spagnola in diretta dal Muro, la signora spagnola accolse il marito con un sonoro “querido, è stata una giornata storica” provocando la reazione stizzita dell’onorevole europeo che – ignaro di quanto stava avvenendo dall’altra parte della città, aveva pensato alla bonaria ironia della moglie sulla patata. Tornando all’Europa del ventunesimo secolo, sappiamo che i “27” sono più o meno convinti che il futuro di tutti i Balcani occidentali (Croazia, Macedonia, Serbia, Bosnia, Montenegro, Kosovo, Albania) sta nell’Unione europea oltre a quello dell’Islanda e, se lo vorranno, della Norvegia e della Svizzera. Più complicato appare, come sappiamo, il discorso relativo alla Turchia mentre le opinioni sono ancor più diversificate sulle relazioni con i “piccoli” vicini della Russia (Ucraina, Moldovia e Bielorussia) per non parlare dei paesi del Caucaso o del sogno di Marco Pannella di far entrare Israele nell’Unione europea o del progetto di Silvio Berlusconi di imbarcare anche la Russia di Putin. Il gruppo dei saggi guidati da Felipe Gonzales ha avuto incarico di riflettere sulla natura e la ragion d’essere dell’unificazione Europea nel 2020 e certo la sua natura sarà diversa se l’Unione europea sarà composta da quasi trenta paesi membri o se sarà raggiunto un accordo per far coincidere un giorno più lontano l’Unione con la dimensione del Consiglio d’Europa, L’unificazione europea fino ai Balcani non risolve il problema dei confini politici ed istituzionali dell’integrazione comunitaria perché questo problema non è mai stato affrontato seriamente dai governi europei. Dopo la caduta del Muro di Berlino e la fine dell’impero sovietico, François Mitterrand aveva indicato a Praga un’idea solitaria ma efficace di un’ampia confederazione all’interno della quale avrebbe dovuto sorgere una federazione europea. Con altre parole, Jacques Delors ha utilizzato più volte l’ossimoro della “Federazione degli Stati-Nazione”. Mitterrand non fu sciaguratamente ascoltato allora dai governi dei Dodici e l’alternativa fra allargamento (enlarging) e approfondimento (deepening) continua a paralizzare l’Unione europea. Nonostante il veto opposto dai governi al “saggio” Gonzales di evitare qualunque riflessione sulla natura politica ed istituzionale dell’Unione europea dopo il 2020, è evidente che il modesto Trattato di Lisbona – se salvato in extremis dal presidente Klaus – non rappresenta la risposta adeguata al problema dei confini dell’Europa. Suggerisco sommessamente ai deputati europei, che ora hanno il potere di chiedere modifiche ai trattati, di rileggere il discorso di Praga di François Mitterrand.
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