Quell'alleanza di comodo tra sinistra e magistratura

Dalla Rassegna stampa

«Avremmo dovuto affermare in modo più energico la tendenza alla elettività dei magistrati... Soltanto quando sarà stabilito un contatto diretto tra il popolo, depositario della sovranità, e il magistrato... questi potrà sentirsi partecipe di un potere effettivo». Né Berlusconi né Bossi: a parlare così fu Palmiro Togliatti, che ai tempi della Costituente per nulla apprezzò «lo spirito giuridico reazionario» che a suo dire aveva ispirato la parte della Carta dedicata alla Giustizia. Ricordarlo, serve a prender atto che sia i progenitori politici del Pd sia i suoi attuali consanguinei europei si sono sempre schierati dalla parte opposta della casta giudiziaria. Nel mondo, la sinistra non sta con i giudici: sta con gli imputati. Ma in Italia è diverso. E a poco serve metter mano all'archivio per dimostrare che molti di coloro che oggi contestano la riforma della Giustizia firmata Berlusconi in passato ne sostennero i medesimi caposaldi.
Che l'obbligatorietà dell'azione penale sia una barzelletta lo disse Violante quando ammise che «pm e giudici decidono discrezionalmente le priorità». Che giudici e pm dovessero avere carriere separate, che il Csm dovesse essere sdoppiato e che sarebbe stato opportuno sottrargli l'azione disciplinare, fu deciso dalla Bicamerale presieduta da D'Alema nel '97. Che i magistrati dovessero essere responsabili civilmente dei propri errori lo stabilì un referendum promosso dai radicali nell'87, al solito disatteso. Che l'Anm sia «un organismo diretto alla tutela di interessi corporativi» e che occorre abbandonare «lo spauracchio della dipendenza del pm dall'esecutivo», lo scrisse il giudice Giovanni Falcone, attaccato in vita da molti dei suoi cantori post-mortem. Come tutte le riforme, anche questa può essere criticata. Ma confonderla con le leggi ad personam o gridare all'attentato democratico è davvero troppo. Se il Pd, nonostante l'anticonformismo di Follini e pochi altri, lo fa, non è solo per il gioco delle parti in virtù del quale chi sta all'opposizione sempre contesta le decisioni di chi sta al governo. C'è altro. C'è che, come ha osservato persino l'ex capo di Autonomia operaia Toni Negri, dai tempi di Tangentopoli «parte della sinistra italiana si serve della magistratura come arma politica». E non ha dunque interesse a disinnescarla. Mentre parte della magistratura s'è ufficialmente intestata il ruolo di supplente dell'opposizione politica. Nei primi anni Ottanta, preso atto che il Pci era strutturalmente escluso dall'area del governo, il giudice di Magistratura democratica Gherardo Colombo ammise che «il controllo giurisdizionale» aveva cambiato «natura», ma tornare alla neutralità dell'ordine giudiziario sarebbe stato inopportuno: «Una scelta di terzietà avrebbe come conseguenza un rafforzamento dell'assetto sociale caratterizzato dalla carenza di opposizione», scrisse. E quando entrò nel pool la sua tesi divenne il Verbo di Mani Pulite. Riassumendo: non avendo fiducia nel centrosinistra, parte dei magistrati si sostituisce ad esso; non avendo fiducia in se stesso, parte del centrosinistra si fa sostituire dai magistrati. E tutti insieme ostacolano la riforma con buona pace della mitica separazione dei poteri.

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