Quel pre giudizio delle elite sul "familismo" italiano

Dalla Rassegna stampa

Non sembra che Emma Bonino abbia pronunciato il suo drastico "no" al quoziente familiare conti alla mano. L`esponente radicale candidata per la presidenza del Lazio tantomeno pare aver valutato gli effetti prodotti da questo sistema e da altri simili di favor familiae adottati in alcuni Paesi europei, dove non si è prodotta la segregazione domiciliare delle donne tanto temuta dalla parlamentare pd. Ma il punto di fondo è un altro: perché il fisco non dovrebbe trattare la famiglia come un`unica squadra nella quale si decide d`accordo "chi" gioca e "dove" nell`interesse di tutto il team? Perché i rapporti tra coniugi e figli devono essere assimilati al rapporto oppressori oppressi e non a quelli di un "collettivo" vincente? Una spiegazione può venire da una lettura attenta del libro (L`Italia fatta in casa) di Alberto Alesina e Andrea Ichino, che nella sostanza propugna le stesse tesi della Bonino. I due economisti, spalleggiati da autorevoli analisi di Francesco Giavazzi, hanno abilmente riciclato la leggenda nera di un`Italia cronicamente malata di «familismo amorale», le cui nefaste conseguenze sarebbero addirittura mafia, illegalità, lentezza della giustizia civile, ecc. Una caricatura imposta fin dagli anni Cinquanta sulla base di un`indagine circoscritta a un piccolo paese del potentino, Chiaromonte, da Edward C.Banfield, sociologo Usa con un lungo training nelle agenzie governative. Stranamente il testo che riporta l`obsoleta indagine (Le basi morali di una società arretrata) è stato ripubblicato un anno fa, nonostante in cinquant`anni le cose siano cambiate, e di molto, in tutto il pianeta. L`accusa lanciata contro l`Italia era la mancanza di senso civico in confronto al pullulare di associazioni a St. George (Utah) negli Usa. Il sociologo americano affermava esplicitamente, peraltro, che la redenzione della nostra gente sarebbe potuta giungere da una missione protestante. Banfield additava perfino l`esempio delle campagne culturali condotte in tal senso in Brasile. Per fortuna nessuno ebbe il cattivo gusto di ripagarlo con la sua stessa moneta, anche se la tentazione di farlo certo non mancava: si pensi alle suggestioni suscitate dai film Usa con i quali in quegli anni si bombardò il nostro Paese. Del resto già nell`Assemblea costituente il conquistatore del Polo Nord, Umberto Nobile (eletto come indipendente nelle liste del Pci), lamentava i divorzi facili e a ripetizione dell`american way of life. Lo stigma del «familismo amorale» fu magistralmente confutato dalla sociologa Loredana Sciolla (nel libro Italiani, stereotipi di casa nosta, 1997) dimostrando come nella storia la nostra cultura relazionale, al cui centro c`è anche la famiglia, ha originato un fiorire di confraternite e associazioni così come la tradizione forte dell`autonomismo locale. Come mai quel lavoro scientifico non ha avuto la considerazione che meritava? Alcune élite hanno cercato di inculcare un diffuso senso di colpa per una supposta mentalità familista. Un contributo venne anche dal modo in cui fu raccontata nel film di Vittorio De Sica («Ieri, oggi, domani») la vicenda di una venditrice abusiva di sigarette che per non essere arrestata ricorreva a una lunga serie di maternità. «Tiene a panza, tiene a panza, cià, cià, cià», gridava dietro ad "Adelina", interpretata da Sofia Loren, una frotta di bambini nel contesto di una Napoli degradata. Simili stereotipi hanno fatto dimenticare che personalità italiane di notevole calibro sono nate in famiglie numerose. Anche una rilettura attenta delle criticità del mondo anglosassone potrebbe aiutarci a riscoprire il valore delle nostre radici: è il caso del film di Ken Loach Family life (1971), nel quale il regista britannico ha raccontato la vicenda di una giovane inglese portata alla follia dal peso del moralismo puritano perché rimasta incinta. «Di aborto nemmeno parlarne», dice la madre, che di fatto la induce a interrompere la gravidanza. Ebbene, quella mentalità con la sua repressione dei sentimenti e la rimozione della coniugalità non appartiene al cuore delle nostre radici culturali. E neppure a quelle di Adelina. Radici, appunto, familiari.

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