Quel ponte tra Veltroni e Vendola

Dalla Rassegna stampa

 

Nel momento in cui l’evoluzione della situazione politica fa tornare in primo piano la tattica (crisi economico-sociale, elezioni sì elezioni no, e se sì, quali alleanze) è essenziale mettere in luce la dimensione più di lungo periodo, strategica, dei problemi che chiedono soluzioni credibilmente percorribili.
C’è, da un lato, una grande fluidità che richiede capacità tattica e, dall’altro, problemi di carattere strategico non risolti che impediscono proprio quella agilità che sarebbe invece necessaria. Nella tempesta, senza aver chiaro dove si vuole arrivare, i cambi di rotta necessari per sopravvivere rischiano di farti andare a scogli. Senza una ridefinizione strategica del ruolo e della natura del partito che si vuole far vivere nella società neanche i problemi tattici troveranno una definizione stabile, di medio lungo periodo. Le proposte appariranno "organizzativistiche", prive di quella capacità di motivare fazione volontaria che è l’unica possibile benzina di un’organizzazione politica. Sempre che si creda utile uri organizzazione stabile di cittadini tra un’elezione e l’altra. E sempre che si creda che la tv, con qualche "cerimonia teletrasmessa", non possa sostituire anche il legame delle adesioni.
Per questo chiarire che organizzazione politica si intende fare vivere nella società è tutt’uno con l’affrontare le domande che la società pone. Si confrontano due visioni della politica. Una "professionale" con una forte tendenza tecnocratica che innesta nuove visioni elitarie sul vecchio ceppo delle adesioni alla politica di carattere ideologico-religioso tipiche del Novecento: un popolo di fedeli tenuti insieme da una promessa forte capace di incarnarsi in grandi ritualità di massa oggi diventate "teletrasmesse". La leadership è sacrale, va "venerata" e delegata a mediare le soluzioni possibili. Le appartenenze sono per la vita, la mobilità dell’elettorato quasi inesistente, i flussi sono tra voto e non voto. L’imperativo è tenere i propri.
In questa idea di politica si riconoscono i proporzionalisti di diversa natura, i nostalgici dei partiti del Novecento ma anche gli innovatori attratti da una visione della politica molto ancorata alle scelte politiche pratiche. Ci vuole un’organizzazione capace di generare fiducia e delega, una forte carica emotiva e una notevole capacità di proporre soluzioni riconosciute credibili non solo dai "propri’ ma soprattutto dagli altri. Così si sviluppa il circolo virtuoso che legittima la leadership: sezioni, feste popolari, manifestazioni e... fondazioni.
L’altra visione è quella di chi pensa che (autorevolezza (la legittimazione) delle leadership nella nostra
epoca passi certo da ritualità mediatizzate "ma anche" da una nuova responsabilizzazione di chi si interessa di politica, di chi attribuisce al fare politica (il bene comune) una funzione importante nella creazione del significato della propria esistenza. È una leadership meno sacralizzata, adatta aduna società secolarizzata e complessa dove sono possibili diverse soluzioni ai problemi. Dove conta quello che funziona visto che molti e diversi, tutti egualmente legittimi, sono i criteri per definire ciò che è giusto. La carica valoriale, però, dev’essere forte per non cedere solo alla dimensione della futilità individuale che negherebbe proprio il ruolo della ricerca del bene comune.
Ci vuole capacità di rivolgersi a tutti, quindi un messaggio evocativo, con un certo grado di ambivalenza se non di ambiguità. Questa visione della politica chiede gratificazioni di tipo intangibile che spesso contrastano con quelle molto tangibili che motivano i professionals, chiede voice and choice. Qui si schierano i maggioritari alla Veltroni ma anche i neoproporzionalisti alla Vendola, coloro che insomma attribuiscono al proprio intervento un ruolo importante e vogliono vederlo incarnato in qualcosa di più (le cosiddette "primarie") della partecipazione alle grandi manifestazioni mediatiche. Tra questi ci metterei anche i radicali alla Bonino se il direttore di Radio Radicale Massimo Bordin non fosse sempre così sarcastico con tutto quello che rappresenta quel tentativo chiamato "primarie". Nel primo schieramento convergono sia coloro che vivono di politica, sia coloro che sentono ancora forte il bisogno di "credere". Costoro interpretano l’identità soprattutto come riferimento a un passato che ritengono più glorioso di quanto non sia stato davvero. Nel secondo convergono quelli che non vivendo di politica le attribuiscono un ruolo importante per definire se stessi rispetto agli altri, vogliono essere parte di qualcosa, hanno bisogno di motivazioni che vadano oltre le feste della bocciofila (che la Lega comincia a organizzare meglio) e forse, ingenuamente, sopravvalutano il ruolo dell’ascolto e sottovalutano quello della risposta (scegliere, fare, decidere). Per costoro l’identità si costruisce facendosi identificare come portatori di soluzioni efficaci, funzionanti nella pratica e soddisfacenti sul piano valoriale. Per loro conquistare elettori dell’altro schieramento non solo è possibile ma si deve.
Se i primi devono chiarire quanta importanza attribuiscono ai secondi (che spesso giudicano solo degli ingenui velleitari inconcludenti se non qualcosa che indebolisce la loro identità), i secondi devono mettere bene a fuoco che senza i primi la politica non esiste (l’assemblearismo inconcludente è sempre dietro (angolo e proprio le "primarie" possono diventare uno strumento capace di annullare qualsiasi vocazione maggioritaria).
In questi mesi, nell’urgenza di una crisi economica che evolve in modalità non previste e prevedibili, e alla vigilia di un non rinviabile ricambio nella leadership della destra, si stanno ridefinendo i confini del fare politica, del significato dell’impegnarsi in politica, quindi anche della natura dei partiti.
Di questo parla la "favola" delle primarie. E parla a tutta la società. Non si tratta solo di meccanismi decisionali da attivare in caso di stallo ma di cultura politica, del meccanismo dil egittimazione della leadership, della sua autorevolezza, del rapporto tra deputati a rappresentare e cittadini elettori, di sovranità democratica e efficacia del funzionamento delle istituzioni. Soluzioni ce ne possono essere diverse e vanno verificate nella pratica. Ma quello che conta di più è la scelta di lungo periodo, quella di natura strategica.

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