Quei corpi di lavoratori innocenti

Dalla Rassegna stampa

«Siamo sull’orlo dell’abisso», dice con voce accorata il presidente della repubblica Karolos Papoulias. I cadaveri di due donne (una era incinta) e di un uomo, giovani e incolpevoli impiegati di banca, pesano sulla coscienza della crisi.
Crisi che ha sconvolto la Grecia e sporcato di sangue la manifestazione dei sindacati nel giorno dello sciopero generale di protesta contro le misure draconiane decise dal governo greco. Approvate per ottenere il prestito dell’Ue e del Fondo monetario, salvare il Paese dalla bancarotta ed evitare metastasi sull’euro.
La rabbia della gente, e in particolare dei dipendenti pubblici, che pagheranno la crisi con una decurtazione secca di almeno il 20 per cento dello stipendio, è comprensibile, come è comprensibile la decisione del primo ministro George Papandreou di aver dovuto varare un piano di lacrime e sangue. Ma questo non giustifica le violenze di un pugno di rabbiosi contestatori, con il volto coperto, che si sono staccati dalla manifestazione sindacale per andare a portare la morte altrove. «Assassini», li ha definiti in parlamento Papandreou. La polizia li sta cercando dappertutto. Il Paese è scosso e spaventato. Alla diffusione della notizia delle tre vittime, i giornalisti hanno sospeso lo sciopero per informare il Paese, minuto per minuto, sulla tragedia.
Proprio una tragedia greca, da qualsiasi angolazione la si voglia osservare. Perché ha ragione il governo ad agire, visto che non esistono alternative; e ha ragione la gente ad arrabbiarsi, perché è costretta a pagare colpe non sue. Tutto comprensibile, salvo quel manipolo di violenti, che a noi ricordano tanto le code dei cortei negli anni 70, che dopo decine di manifestazioni e di devastazioni ma senza vittime, ieri hanno colpito duramente e hanno ucciso.
Forse non intendevano uccidere, ma hanno ucciso. E se le vittime sono soltanto tre, lo si deve alla fuga degli altri impiegati che rischiavano di soffocare e che sono stati salvati dai vigili del fuoco. La banca incendiata è una filiale della Marfin, che appartiene al tycoon Andreas Vienopulos, rampante uomo d’affari, legato a interessi arabi, che ha comprato l’Olympic, ha quote della squadra di calcio del Panatinaikos, e non nasconde future ambizioni politiche.
E questo è soltanto il primo, e il più grave di tre incendi di ieri: un altro è stato appiccato alla prefettura e un terzo all’ufficio del ministero delle Finanze, dietro piazza Syntagma, che era il quartier generale degli ispettori anti-evasione: quelli che, per intenderci, vanno a caccia di chi froda il fisco. È un’altra ombra sinistra che macchia la giornata più dura che ha vissuto la Grecia dall’inizio della crisi. Crisi che, in parlamento, ha avuto code velenose, anche perché il maggior partito di opposizione, Nuova democrazia, principale responsabile delle clamorose bugie raccontate all’Unione Europea, prima aveva deciso di votare contro le misure del governo (essendo diviso tra la vergogna d’essere ritenuto il primo responsabile della crisi, e la volontà di non favorire l’avversario politico), e ora pare procedere in ordine sparso.
Nelle centrali dei tre sindacati che hanno promosso e guidato lo sciopero generale, ieri c’era un’aria di costernazione. Come se vi fosse la convinzione che, da domani, nulla sarà più come prima. La gente, per le strade, s’interroga smarrita. E la rabbia per i sacrifici si moltiplica per la rabbia nei confronti dei responsabili dell’incendio della banca. Nessuno può dire che cosa accadrà adesso. La gente è assai dura nei confronti dei colpevoli del disastro, che non sono tutti connazionali. Certo colpisce come, in piena crisi, mentre la Germania accusava gli ellenici d’essere cicale, Atene comprava, o era convinta a comprare, due sottomarini tedeschi per un miliardo di dollari.

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