Quegli stolti paragoni con la "Shoah"

Dalla Rassegna stampa

L’onorevole Gianfranco Micciché coltivi pure la lingua di Sicilia, che è bellissima. Faccia pure il partito del Sud, che (gli) sarà utilissimo. Ma la prossima volta eviti di paragonare la sua fazione politica agli ebrei in Germania «chi foro chiddi ca ristaru dra» (che furono quelli che restarono là»). Risparmiandosi comparazioni così sconclusionate, si sottrarrebbe all’aura di ridicolo che simili analogie inevitabilmente generano. E non renderebbe omaggio al nuovo tic che sembra contagiare tante persone, brave o non brave, prese dall’ansia di denunciare qualche innominabile torto subìto: presentarsi come la reincarnazione del nuovo «ebreo perseguitato».
Come Padre Cantalamessa, che per rintuzzare la campagna internazionale sulla Chiesa e i sacerdoti pedofili, si fabbrica a suo piacimento un immaginario (e si suppone inesistente) «amico ebreo» per rendere credibile il paragone tra la Shoah e gli attacchi anticattolici di questi giorni. Un infortunio. Ma anche un modo di dire diventato frusto, logoro. Che qualche volta fa male e offende, come José Saramago, insignito del Nobel, che parla di Gaza nuova Auschwitz, riecheggiando le legioni di detrattori di Israele cui piace irresistibilmente spacciare solenni sciocchezze come fossero pensieri profondi e impegnativi: tipo “le vittime che diventano i nuovi carnefici», da pronunciare possibilmente con aria ispida ieratica. Qualche volta è dettato da furori politici poco sorvegliati. Come quando, torcendo la storia come fosse un docile elastico, si stabilisce  un’equiparazione tra le attuali (ovviamente discutibili) leggi
dell’Olocausto anti-immigrati e le leggi razziali che furono l’antefatto della «soluzione finale». Qualche volta, è il caso di Micciché, prende forma per motivi futili.
Un presentarsi come i «nuovi ebrei» che sollecitò la fantasia di qualche socialista durante Tangentopoli, di qualche juventino durante Calciopoli (uno), di Marco Pannella con indosso la stella gialla della discriminazione per aver patito qualche angheria da par conditio violata. Giorgio Israel ha proposto una moratoria, per smetterla di appellarsi con tanta faciloneria all’Olocausto. C’è da dubitare che la proposta abbia il meritato successo. La banalizzazione della Shoah sembra oramai irresistibile. E’ andata smarrendosi non solo la sua incomparabile specificità, ma il suo stesso significato, la sua stessa smisuratezza. E un cambio di prospettiva che altera la percezione storica e annulla ogni possibile articolazione delle tante offese subite dall’umanità. Una banalizzazione che paradossalmente segue la sua precedente sacralizzazione. Un oltraggio alla memoria storica più pericolosa ancora di ogni negazionismo, perché vanifica ogni parvenza di serietà per trasformarsi nel più micidiale dei luoghi comuni. Che elegge a interlocutore il fantasma di un «amico ebreo» per non pensare agli «amici ebrei». Quelli veri, muti di fronte al più stolto dei paragoni.

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